Hanno cercato di difendersi, in Tribunale, con conseguenze non proprio favorevoli per gli altri personaggi alla sbarra, due degli imputati del processo per le “violenze” che nel 2011, secondo l’accusa, sarebbero state commesse, all’interno della caserma dei carabinieri di Pantelleria, su persone fermate per controlli di routine. Imputati sono il maresciallo Claudio Milito, accusato di aver avuto “mano pesante” assieme a Luca Salerno, Lorenzo Bellanova, Rocco De Santis e Stefano Ferrante. Di omessa denuncia, invece, devono rispondere il capitano Dario Solito, ex comandante della Compagnia di Marsala, e il maresciallo Giuseppe Liccardi, che all’epoca dei fatti era comandante della stazione dell’isola. A chiedere di essere sottoposti a interrogatorio sono stati Ferrante, autore di una relazione di servizio sui fatti avvenuti la notte del 10 luglio 2011, e il capitano Solito. Ferrante ha confermato il contenuto della relazione a sua firma. Ha, infatti, affermato che la sera del 10 luglio 2011, quando fu a lungo trattenuto in caserma il cuoco marsalese Vito Sammartano, il cui tasso alcolemico era risultato di poco superiore al limite di legge. Ferrante ha detto che Sammartano non alzò mai le mani con Milito, ma l’atmosfera era tesa perché il sottufficiale era molto nervoso e in modo energico (mano sulle spalle) rimise a sedere il cuoco che si era alzato. Ferrante ha aggiunto che non vide, comunque, il superiore picchiare il Sammartano, ma vide il cuoco rinchiuso in camera di sicurezza (per questo, l’imputazione di sequestro di persona) e privato degli effetti personali. Il carabiniere ha, poi, spiegato che decise di redigere una relazione di servizio su quanto stava accadendo “per cautelarsi”. Si rendeva conto, infatti, che i provvedimenti adottati per Sammartano erano esagerati in relazione alla sua colpa. “Quella sera – ha dichiarato Ferrante – sono successe cose che non dovevano succedere e per questo siamo qua”. E cioè in Tribunale. Il militare ha proseguito dicendo che voleva parlare dei fatti al comandante della stazione, Liccardi, per capire se quello era il modus operandi a Pantelleria. Nei luoghi, infatti, in cui aveva prestato servizio in precedenza “non si lavorava così”. “Così come? Che vuol dire?” hanno chiesto alcuni legali. “Per un accertamento per guida in stato di ebbrezza – ha spiegato Ferrante – non si mette una persona in camera di sicurezza. Io non capivo perché dovevamo metterla in camera di sicurezza”. In tal modo, Ferrante ha confermato, almeno per quel che riguarda la “clausura”, il racconto di Vito Sammartano, dalla cui denuncia è scaturita l’inchiesta condotta dalla sezione di pg della Guardia di finanza della Procura di Marsala. Poi, è stato ascoltato un imbarazzato Solito. L’allora comandante della Compagnia dei carabinieri di Marsala (da cui dipende la stazione di Pantelleria) ha detto di aver dimenticato di leggere la relazione di servizio inviata dal maresciallo Liccardi. E di ciò si è scusato. Una relazione in cui il comandante della stazione pantesca evidenziava che alcuni civili dell’isola lamentavano il fatto che Milito avesse modi violenti con le persone fermate per controlli. “Pensavo – ha aggiunto l’ufficiale – che si trattasse di un problema tra militari. Di natura disciplinare. Non che riguardasse militari e civili”. Di questa relazione, all’inizio del processo, ha parlato Antonio Lubrano, capo della sezione di pg delle Fiamme Gialle della Procura, affermando che vi si potevano intravedere “estremi di reato”. Per Milito c’era, inoltre, anche una “nota di biasimo”. Sempre a firma di Liccardi. “Nel corso dell’indagine – ha aggiunto Lubrano - individuammo altre vittime, ma avevano paura a parlare”. Le accuse a vario titolo contestate vanno dalle lesioni al sequestro di persona, dal falso in verbalizzazioni all’omissione di atti d’ufficio e di denuncia e favoreggiamento. Alcune parti civili sono rappresentate dall’avvocato Gaetano Di Bartolo.