“Il fatto non costituisce reato”. Con questa motivazione il giudice monocratico Marcella Greco ha assolto dall’accusa di diffamazione il sindacalista mazarese Donato Giglio (Diccap). Giglio, difeso dall’avvocato Vito Perricone, era finito sul banco degli imputati in seguito alla denuncia contro ignoti sporta dall’ex comandante della polizia municipale Giuseppe La Rosa e dagli altri tre vigili citati nella famosa lettera a firma del “Popolo dei vigili urbani onesti” che nel 2008 fu inviata a Procura della repubblica, Corte dei Conti, al sindaco Renzo Carini e ad alcuni organi di stampa. Il sindacalista, naturalmente, non era accusato di avere scritto la lettera, ma fu indagato sol perché, un paio di giorni dopo l’arrivo della missiva (fu inviata anche a lui), si presentò con una copia in mano alla riunione della “delegazione trattante” indetta al Comune proprio per parlare della questione. Gli autori non furono mai individuati e lui fu l’unico a subire conseguenze giudiziarie. Nella lettera anonima si parlava di corresponsione di emolumenti ad alcuni i vigili per il Progetto Estivo senza specifica assegnazione di fondi da parte del Comune e in contrasto con le normative contrattuali, di presunta distrazione di fondi a favore di altre attività, di uso improprio dell’auto di servizio, di concessione di settimana “corta” come compenso per presunti servigi resi e favoritismi nei confronti del personale. Veniva segnalato, inoltre, anche un presunto incidente con l’auto di servizio occorso ad un ispettore in attività di distacco sindacale che sarebbe stato considerato come accaduto in servizio e per cause di servizio. Si parlava, poi, di ‘’esoneri immotivati da servizi’’ e ‘’pressioni’’ per indurre i vigili a fare più contravvenzioni possibile. Tre pagine che misero in subbuglio la polizia municipale, destando, in città, anche morbose curiosità per le vicende di natura privata raccontate. Diffusasi la notizia della lettera anonima, l’assessore Salvatore Adamo dichiarò di avere avviato un’indagine interna. Il comandante Giuseppe La Rosa, invece, annunciò una denuncia contro ignoti. “E questo – disse l’allora comandante dei vigili urbani – sia per tutelare la mia immagine, che quella della polizia municipale. Non sono stati commessi illeciti. E lo dimostrerò. Io mi auguro che a scrivere queste cose non sia stato davvero qualcuno che veste la nostra divisa”. Nel merito delle contestazioni, invece, La Rosa replicò: ‘’Sono soltanto illazioni, non c’è nulla di concreto. E’ una vigliaccata, un attentato, un modo per buttare fango sul corpo dei vigili e sul sottoscritto. Si tratta di affermazioni gratuite, accuse che non soltanto rigetto, ma che sono in grado di dimostrare, punto per punto, prima all’amministrazione e poi alla cittadinanza, essere senza alcun fondamento. Del resto, gli atti sono pubblici e chiunque può visionarli. E’ tutto alla luce del sole’’. Un’altra lettera anonima, sempre a firma del fantomatico “Popolo dei vigili urbani onesti” arrivò all’inizio del 2011, quando comandante era già Vincenzo Menfi. Anche in questo caso, gravi accuse a vigili dei quali si faceva nome, cognome e grado. Nella missiva, inviata alla Procura, al prefetto, al sindaco, alle forze dell’ordine e alla stampa, si evidenziava che si tornava a scrivere di “ingiustizie nella p.m.” e si proseguiva affermando di essere un gruppo di vigili “stanchi di vedere premiate persone che neanche potrebbero stare nella p.m.”. Poi, si facevano i nomi di una mezza dozzina di colleghi, tra i quali anche una donna. Qualcuno, veniva denunciato, non doveva essere in possesso della pistola d’ordinanza perché “sequestrata dai CC”, avrebbe utilizzato l’auto di servizio per andare a fare la spesa e accompagnare un amministratore comunale in luoghi che non avevano, secondo l’anonimo, nulla a che vedere con la carica pubblica ricoperta. Ad altri, invece, si addebitavano comportamenti omissivi o arroganti (addirittura minacce a colleghi o multe a persone con cui si aveva qualche contenzioso). Durissima fu la replica del comandante Menfi, che agli stessi destinatari dell’anonimo inviò subito inviato una nota ufficiale in cui ipotizzava i reati di calunnia, diffamazione e atti persecutori. E “totalmente false”, affermava Menfi, erano le affermazioni che l’anonimo faceva in relazione al suo nome (presunti favoritismi). Il comandante parlò di “evidente intento diffamatorio” da parte di “un fantomatico ‘popolo dei vigili urbani onesti’ che, trincerandosi dietro l’anonimato e la calunnia, si permette di evocare ideali di giustizia e di equità ma che in realtà, verosimilmente in preda a folli e incomprensibili sentimenti di invidia o risentimento personale, mira a creare uno stato di pressione di ansia e persegue il fine criminoso di impedire al sottoscritto il libero e legittimo compimento delle sue scelte gestionali”. Scelte, sottolineò Menfi, che “in soli sei mesi hanno prodotto risultati eccellenti nel contrasto all’abusivismo e alle altre forme di illegalità”.