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20/10/2015 06:05:00

Castelvetrano. Ecco perché protestano gli immigrati ospitati a Triscina

 Dopo le proteste degli ospiti del centro accoglienza di Triscina e i commenti di quella Castelvetrano violenta e disinformata, abbiamo cercato di capire i motivi del malcontento.

Siamo andati a trovarli con due osservatori d’eccezione: Alberto Biondo e padre Domenico Guarino, della comunità dei Laici Comboniani di Palermo, che da anni si occupano di immigrazione.

I perché della protesta non sono molto diversi da quelli degli altri centri sparsi in tutta Italia: tempi lunghissimi per l’ottenimento dello status di rifugiato, carenze nei servizi e ritardi nella percezione del pocket money (circa due euro al giorno).

Dopo aver parlato con gli ospiti e con il personale del centro, è emersa una realtà complessa che ha davvero poco a che fare con semplificazioni populistiche o prese di posizione ideologiche e politiche.

L’intero sistema è fallimentare – dice Alberto Biondo - Anche in questa struttura, a prescindere dal cibo o dal fatto che la carta igienica, lo shampoo e le scarpe possano essere più o meno adeguati, ci sono difficoltà dal punto di vista del sostegno psicologico di questi ragazzi.

E’ un sistema basato sul business: per non trovarsi in difficoltà economiche, i centri tendono ad avere un minimo di cinquanta persone. Ma ad averne tanti, si rischia di non fare poi un buon lavoro, perché per esempio, un conto è avere una psicologa per venti persone, un altro conto è averla per ottanta”.

Sembra che alla base di tutte le difficoltà ci siano i ritardi burocratici. “Sono lunghissimi – aggiunge Biondo - Ci sono persone che dopo due anni non hanno ancora nemmeno la data di incontro con la commissione di valutazione della richiesta di asilo.”

In teoria, per la nostra legge dovrebbero trascorrere 35 giorni. Il fatto che l’ospite sia invece costretto a rimanere due anni non sembra far riflettere molto i sostenitori del “se vogliono stare qui, devono seguire le nostre regole”.

Padre Domenico Guarino coglie forse il punto principale della questione: “Alla base della gestione di queste strutture ci sono sempre interessi ideologici ed economici che, insieme ad un’inefficienza burocratica molto forte (come i tempi biblici per il riconoscimento della richiesta d’asilo o il ritardo nei pagamenti ai centri), portano inevitabilmente disagi agli ospiti, agli stessi operatori dei centri e di conseguenza all’intera popolazione locale.

In africa si dice che quando due elefanti si fanno guerra, chi ci perde è l’erba che c’è sotto. Ho lavorato a Napoli, nel quartiere Sanità, dove si volevano aprire dormitori per i senza fissa dimora. Alla fine si stava generando una guerra tra poveri, con il Comune che si trincerava appunto dietro l’intolleranza dei residenti (“siete voi che non li volete”). Il fatto è che il Comune non aprirà mai una casa di accoglienza in posti come Posillipo o Mergellina.”

L’impressione è che al di là dell’intolleranza, ci sia una matrice politico-economica svincolata dall’aspetto sociale dell’immigrazione.

E’ una realtà molto complessa – sottolinea padre Domenico Guarino - che non può essere spiegata soltanto con l’intolleranza, perché si rischia di portare l’attenzione lontano dalle responsabilità di chi sta giocando con tutto questo. Se non c’è attenzione nel preparare il contesto in cui devono arrivare queste persone, ome si può pretendere che prima o poi il contesto non gli si rivolti contro? Occorre capire che l’immigrazione non è un problema di sicurezza nazionale, ma un problema sociale che interessa tutti. Interessa chi apre i centri, ma anche la popolazione che vi sta intorno. Anche perché è una realtà che ci accompagnerà nei prossimi decenni”.

 

Intanto però il problema del pocket money non è roba da poco. Soprattutto quando i pagamenti ai centri avvengono con tempi a volte del doppio rispetto ai 90 giorni.

Ma chi deve pagare i centri e perché si creano questi enormi ritardi?

I soldi arrivano dal Ministero dell’Interno e vanno alla Prefettura e al Comune. Sono questi gli enti istituzionali che poi pagano i centri. La Prefettura di Trapani, oltre a quello di Triscina, finanzia una trentina di centri CAS per l’accoglienza secondaria sparsi nell'intera provincia. I centri Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, tra cui la Locanda e Palazzo Polito) dipendono invece dal Comune di Castelvetrano che, avendo presentato il proprio progetto, ha avuto accesso ai finanziamenti del “fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo”.

I pagamenti in arretrato non riguardano soltanto il Cas di Triscina, ma anche gli altri centri di Castelvetrano. Una situazione divenuta quasi fisiologica da anni, che aveva prodotto già varie proteste, tra blocchi stradali e marce con tanto di cartelli.

Le somme sono ancora al Ministero? Oppure sono da tempo arrivate al Comune e alla Prefettura? E se fosse così, perché non vengono trasferite ai centri?

Difficile dirlo. E se intanto la cooperativa non ha soldi, chiede alle banche di anticiparli. Ma le banche hanno bisogno della cosiddetta certificazione del credito da parte del Comune, che però prende tempo perché deve fare i controlli.

A rendere le cose più complicate ci si è messo anche lo Split Payment, in vigore dal gennaio scorso, che prevede la scissione dei pagamenti. In sostanza il Comune, una volta ricevuta la fattura della cooperativa, paga soltanto l’imponibile, trattenendo l’ammontare dell’Iva per poi versarla in un secondo tempo direttamente all’erario. Per la compensazione, la cooperativa potrà chiedere il rimborso dell’imposta in un altro momento, ma nel frattempo avrà problemi di liquidità per tamponare ulteriori costi.

In questa “guerra” tra cooperativa, Comune, Prefetura, Ministero, politica ed opinione pubblica spesso prigioniera della disinformazione acchiappa click su internet, gli elefanti che lottano sono tanti. Chi ci perde, come dice padre Domenico Guarino, è l’erba che c’è sotto. In questo caso un’intera prateria, della quale fanno parte anche gli operatori che lavorano nei centri. Anche loro da mesi senza stipendio.

 

Egidio Morici