di Dino Agate - Pochi giorni addietro é morta Almerina, la vedova di Dino Buzzati. Dopo la morte del marito era stata la custode e la promotrice dei suoi scritti e della sua memoria.
Aveva una trentina d'anni meno di lui. Si erano incontrati la prima volta in occasione di un servizio giornalistico, per una mostra o sfilata cui lei partecipava. Di lui l'aveva colpita quel suo modo elegante e formale che lo faceva vestire di tutto punto, pure con il caldo afoso di quel giorno del primo incontro: lui era con giacca e cravatta e scarpe allacciate, e tutti gli altri sbracati.
Passò qualche anno prima che si rivedessero e iniziassero la relazione. Quando lui le chiese di sposarlo, lo fecero. Dino Buzzati era ormai un mito del giornalismo, ed uno scrittore tra i più venduti. Ma era, come tutte le persone eccezionali, uno con le sue manie. Quando, dopo averlo letto, passava a lei il Corriere della Sera, si premurava di strappare prima le pagine dove stavano i suoi articoli. Non voleva che lei lo conoscesse nella sua produzione giornalistica o letteraria. Chissà perché, voleva restare ignoto alla sua compagna per quanto riguardava il suo lavoro. Così Almerina iniziò a leggerlo dopo la sua scomparsa, e ne divenne cultore e propagandista.
Nel romanzo "Un amore", Dino Buzzati racconta una storia parzialmente autobiografica del trasporto di un intellettuale verso una giovane ballerina della cala. Il romanzo prende il lettore per la capacità di farlo sentire partecipe del sogno di un uomo maturo, che riesce a vivere i sentimenti di un ventenne nonostante la stratificazione del tempo l'abbia rinchiuso dentro una corazza di convenzionalità borghese. Di questa storia, che intimamente riguardava l'autore, é probabile che nulla avesse raccontato ad Almerina, e lei l'ha conosciuta dopo la morte di lui.
Dino Buzzati aveva due grandi passioni: Il suo lavoro e la montagna. Era un amante delle scalate sui monti, dove ritrovava quella vicinanza all'aldilà che la routine di ogni giorno nega.
Buzzati fu uno dei pochi giornalisti del Corriere che non venne epurato nel passaggio tra il Regno e la Repubblica. Restò al suo posto, dopo aver scritto durante il regime fascista. I suoi pezzi di nera o i suoi reportage da bordo degli incrociatori in guerra non avevano risentito delle direttive fasciste. Erano pezzi che scendevano al fondo degli avvenimenti, che non venivano incapsulati nell'atmosfera asfittica del "corretto e dell'opportuno" delle direttive ministeriali alla stampa. Nei reportage sulle battaglie navali nel Mediterraneo non si nota la stonatura retorica dei reportage di altri giornalisti. Si evidenzia, invece, la lotta dell'uomo contro l'uomo, per il successo di ogni bandiera, quella nazionale o quella degli avversari. L'aspetto umano della vicenda bellica prendeva il sopravvento sull'aspetto politico. Alla fine, non aveva importanza chi avesse vinto la battaglia, perché avevano perso tutti nel dramma della morte incombente e realizzata.