L'arte oltrepassa i limiti nei quali il tempo
vorrebbe comprimerla, e indica il contenuto del futuro.
Vasilij Kandinskij
Quando si parla di arte a Marsala o di artisti marsalesi, nella nostra memoria scorrono i nomi di Nicola Virzì, Gino Cavarretta, Germana Parnykel, Matteo Giacalone Virzì, Tano De Simone, i fratelli Farina, Giovanni Enzo Zerilli e, volendo o non volendo, quello di Vito Linares.
Vito Linares, “provocatore nato e gran rompiscatole” (Katia Regina), “spigoloso e puntuto” (Gabriele Civello, dal Catalogo dell’artista 1974-2030), sicuramente è stato, negli anni 70-fine anni 90, un “delicato poeta della tavolozza” (Alfredo Entità) e un grande e generoso organizzatore di eventi e sodalizi artistici (il primo a cui ho dato anche il mio contributo è stato il Centro Arti Visive di Piazza Loggia). Insieme, inoltre, abbiamo realizzato diverse mostre (nel 1985, addirittura, abbiamo presentato le nostre opere individuali come “unità artistiche”, il risultato di un intervento e di una ricerca comune). Poi, per motivi diversi, le nostre strade si sono divise ma, anche se a distanza e non sempre condividendolo, ho continuato a seguire il suo percorso artistico.
Di recente ho letto su www.tp24.it un pezzo sulla sua ultima mostra nella Chiesa di S. Pietro, a firma di Dino Agate, che sicuramente non rende giustizia al personaggio e al contempo, inconsapevolmente, svela i problemi che ha l’opinionista con l’arte moderna e con l’arte in genere (svela appunto opinioni, il fatto cioè che l’opinionista non ha né sapere né potere sui principi, i presupposti teorici e storici, le tecniche e le variazioni dei cammini artistici e dei suoi soggetti!).
Dino Agate non ha fatto una recensione-contro (magari l’avesse fatta!) al nuovo percorso artistico di Vito Linares ma ha voluto manifestare pubblicamente la sua incompetenza, le sue incomprensioni o comprensioni presunte e le sue preferenze. Tutti elementi che interessano poco o niente al lettore (né tanto meno lo specifico della creazione artistica di ogni tempo e delle tecniche consonanti). Dino Agate, infatti, ha “espresso dei dubbi sul valore artistico delle sue tele”, lo preferiva “quando faceva opere surrealistiche”, non riesce “a capire cosa volessero significare” le sue opere; che “ogni opera é simile all'altra” e che, “quando i visitatori (come lui, diremmo noi) vanno ad una mostra di quadri astrattisti, a loro riesce difficile esprimere sentimenti di ironia o di critica” mentre “tutti i quadri del Caravaggio sono di un'immediata comprensibilità”. Dino Agate, così scrivendo, non solo non comprende l’arte astratta (Kandinskij la sua prima opera astratta l’ha realizzata nel 1910) ma nemmeno, quando afferma l’”immediata comprensibilità” delle opere di Caravaggio, quelle seicentesche.
Ma veniamo a Linares e, soprattutto, al suo percorso, alle sue opere.
Per un lungo periodo è stato un raffinato pittore surreal-metafisico, le prospettive dechirichiane e gli oggetti e i cieli magrittiani erano gli strumenti idonei per presentificarci il suo “sarcasmo” e il suo “ gusto dell’assurdo”, una ricerca continua verso “verità irraggiungibili” (Aldo Gerbino). Le opere di questo periodo raggiungono una “perfezione stilistica” non indifferente “che non è mero formalismo, ma che è, piuttosto, essenziale alla ricerca del pensiero perché esso diventi discorso e narrazione” (G.A. Ruggeri).
Successivamente la sua ricerca si nutre degli insegnamenti neoplasticisti di Piet Mondrian, si fa più geometrica, astratta, il colore cessa di essere sfumato. Nascono, così, le “gabbie” e /o “griglie”, i “frammenti” che, essendo tali, sono incompleti e rivendicano l’attenzione attiva/fattiva del fruitore per cessare di essere ciò che sono nella loro incompletezza.
Negli ultimi anni del ‘900, abbandona pennelli e colori per dedicarsi completamente alla Computer Art, inizialmente utilizzando gli stessi schemi visivi, poi, via via, sempre più informali.
Sicuramente per mio limite, non nutro molta “simpatia” per questa forma di espressione, così come per le installazioni, ma riconosco che non bisogna mai porre limiti alla ricerca, né a mezzi espressivi diversi da quelli tradizionali; in fondo quando a metà dell’800 viene inventata la macchina fotografica, molti artisti, quando non la contrastarono, l’accolsero timidamente ma, più avanti, ne fecero un uso creativo (Duchamp, Picabia, Man Ray).
Spinto dalla non-recensione di Dino Agate, sono andato a visitare la “mostra del contendere” sul tema del rosso e scopro un altro Linares, “ogni opera é simile all'altra” solamente nel colore e nella tecnica espressiva ma ogni tela è diversa, unica (un certo che si chiama J.J. Rousseau direbbe: “Simile come te. Non somiglio a nessuno”). Vito abbandona momentaneamente il mouse ma non per prendere il pennello, il colore lo fa s-gocciolare (dripping) come Jackson Pollock sulla tela creando, di volta in volta, figure, volti, composizioni, grovigli; la sua pittura si fa gesto.
Non c’è niente di improvvisato nella sua ricerca dall’inizio fino ad oggi, tutto è stato razionalmente “progettato”. Vito ha fatto di più, ha scritto la “storia del (suo) futuro” artistico fino al 2030 (Vito Linares, Catalogo 1974-2030); il pittore già sa cosa farà nei prossimi quindici anni: è un “futuro anteriore”.
Un'altra provocazione del Nostro ingegnere del colore!
Giacomo Cuttone