Negli anni Sessanta la comunità di Partinico venne stravolta dall’arrivo della troupe cinematografica, diretta dal regista Damino Damiani, per girare il film Il giorno della civetta, tratto dall’omonimo libro di Leonardo Sciascia. Questa vicenda è narrata, magistralmente, nel libro di Amedeo La Mattina che abbiamo presentato giovedì scorso a Marsala. Non sto facendo ancora promozione del libro, ma ho deciso di dedicare il pezzo di questa settimana ad una intuizione che ho avuto durante la lettura del volume. Può un evento artistico, culturale fare cambiare la coscienza di qualcuno? Se sì, come è accaduto al giovane protagonista de L’incantesimo delle civette, allora mi piace immaginare come potrebbe verificarsi da noi un fatto analogo. Certo, gli anni Sessanta sono passati ormai da un pezzo, di mafia ora se ne parla tanto e tutti i giorni, talvolta anche a sproposito. La cronaca si è fatta paradosso, si parla forse più delle istituzioni nate per combattere questo fenomeno, l’antimafia ambigua se non compromessa, e anche in questo caso Sciascia ci aveva anticipati tutti. La storia che ho immaginato è priva di nomi, i protagonisti e le circostanze sono frutto di invenzione narrativa e se qualcuno prova a dare un nome a questo o quel personaggio, sono affari suoi. Il film potrebbe cominciare con l’arrivo in città di un nuovo procuratore, uno tosto che già si era fatto notare per capacità investigativa e che aveva la fissazione di combattere la mafia ad alti livelli. Me lo immagino sempre con la sigaretta in bocca, la voce roca e le mani piene di fascicoli, cresciuto in un quartiere di una grande città siciliana insieme a bravi ragazzi come lui, ma anche potenziali mafiosi. Diventa un uomo di legge, anziché d’onore come altri dello stesso rione, e dopo pochi anni di servizio si vede costretto ad andare a trovare i suoi amici/colleghi al cimitero anziché al ristorante. Sto esagerando? Vabbè, tanto è finzione cinematografica! Nella nostra città lo facciamo transitare qualche anno, perché il lavoro grosso, importante, bisogna svolgerlo in una procura più attrezzata, in teoria, e poi si sa, i trasferimenti si fanno nelle procure. Il nostro protagonista lavora sodo nella nuova procura e non è il solo, un pugno di amici togati, tutti con la fissazione di voler combattere sta mafia. Qualche scena del film la farei girare anche in quel periodo, per esempio, lui che esce una mattina da casa e si infila dentro la macchina blindata con tutta la scorta che lo protegge, lo farei sedere, incautamente, sul lato finestrino così da vedere, fermo ad un semaforo, un ragazzino con la faccia da malandrino che gli fa un cenno muto con la mano come a voler indicare un’esplosione, avete presente la scena del film Schindler list, quando un uomo sul bordo dei binari vede passare il vagone bestiame carico di ebrei e indica con il pollice della mano il taglio alla gola, ecco una cosa del genere. La scena si potrebbe concludere con una bella zoomata sul volto del nostro protagonista per cogliere il brivido che deve aver provato. Tutto il film non ve lo racconto, è di seconda visione, come si dice da noi, passo direttamente al momento del finale, anche perché questa scena si dovrebbe girare di nuovo dalle nostre parti. Un bel discorso fatto da un podio, un discorso commemorativo, toccante, sgrammaticato e con qualche errore di pronuncia, inquadrerei la piazza affollata e poi i piedi dell’uomo che sta parlando, farei salire la camera lentamente, indugiando sui dettagli dell’abito di alta sartoria. Cambio d’inquadratura stavolta sul viso di un ragazzo, un adolescente curioso delle cose dei grandi, uno che legge, s’informa e ha già scelto da che parte stare, il ragazzino guarda l’oratore con disgusto, avvicina le mani con le braccia abbassate nel gesto tipico delle manette. Il volto dell’uomo che parla sul palco non viene inquadrato, non serve conoscerne uno, perché cambiano spesso all’interno di un sistema immobile da secoli. Voi che dite, si trova un produttore per questo film?
Katia Regina