Non posso parlare di questo evento così drammatico. Non ne sono degna. Ricordate il caso Englaro? Tutti a blaterare. Io avrei, io penso, io dico… io stavo zitta. Sospendevo ogni giudizio. Che ne sapevo io di cosa si prova in questi casi? Avevo forse una figlia in coma da diciassette anni? No. E allora, che cosa avrei potuto teorizzare? Tra tutti i dolori, il più grande. Dopo la perdita di un figlio non si vive più, si sopravvive. Si rattoppa intorno alla ferita qualcosa che somiglia ad una esistenza, ma che vita non è più. Tra tutti i dolori, il più grande, il più ingiusto. La letteratura sul tema è notevole, mai consolatoria per i diretti interessati. Film, poesie, libri e altro ancora. Suggestioni forti e, in alcuni casi, cazzotti in pieno plesso solare. Ma dopo che hai letto, visto, ascoltato, se non è successo a te… non puoi sapere, non puoi capire. Allora è meglio tacere, o sfiorare il dramma con inusuale delicatezza, per chi, come me, ama l’affondo, il rigirar la lama nella ferita. Il piccolo Andrea Mistretta è morto per una stramaledetta caduta, una fottuta caduta. Quello che è stato dopo è cronaca, congetture, supposizioni. Se c’è colpa forse non lo sapremo mai, ma se c’è colpa allora è per costui che bisogna pregare ora, per le sue notti insonni, che non credo sia necessario augurargli. Al piccolo Andrea offro una poesia, una di quelle che abbiamo studiato a scuola con svogliata insofferenza, ma che forse ora possiamo apprezzare. L'ha scritta Giosuè Carducci per il figlio, si chiamava Dante, morto quando aveva tre anni, come il nostro piccolo Andrea. Questo posseggo e questo gli offro:
L'albero a cui tendevi
La pargoletta mano,
Il verde melograno
Da' bei vermigli fiori
Nel muto orto solingo
Rinverdì tutto or ora,
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Tu de l'inutil vita
Estremo unico fior,
Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol più ti rallegra
Né ti risveglia amor.
Katia Regina