Anche quest'anno tra tanta retorica si é consumato il rito della commemorazione della Resistenza. L'affluenza della gente é stata minima, anche per le avverse condizioni meteorologiche dell'Italia centro - meridionale. Ma la retorica ha continuato a imperversare.
La Resistenza, soprattutto per l'Anpi e per la storiografia di ispirazione comunista, fu lo snodo decisivo del passaggio tra la dittatura e la libertà. In effetti essa si colloca in quel periodo storico che segnò il passaggio dalla monarchia alla repubblica, e fu un fatto di indubbia rilevanza morale. Ma se si esamina attentamente, con i documenti e gli approfondimenti storiografici, ci si rende conto che deve essere, sì, raccontata, ma senza trascurare la verità.
I gruppi resistenziali nacquero nell'Italia settentrionale dopo la caduta del fascismo, il 25 luglio del 1943. Proliferarono e si ingrossarono con il disfacimento del regime fascista, che pure ebbe un rigurgito di vitalità con l'instaurazione della Repubblica sociale italiana. Mano a mano che passavano i mesi da quel fatidico luglio del '43, i partigiani ingrossarono le loro fila, passando da poche migliaia di unità a circa 80 mila, oltre un quarantamila di fiancheggiatori attivi. Secondo fonti di sinistra, arrivarono a essere 120mila con 80mila fiancheggiatori. Le loro azioni guerresche incisero poco sull'andamento generale della guerra, che fu vinta contro i nazifascisti dall'esercito alleato che risaliva dalla Sicilia.
Benché ininfluenti sul piano strategico generale, i gruppi partigiani, a volte diretti a volte indipendenti dal Cnl (Comitato di liberazione nazionale), con le loro azioni cruente contro i civili e i militari fascisti e nazisti, alimentarono la guerra civile tra gli italiani. L'efferatezza delle loro azioni da una parte e delle reazioni dei nazifascisti dall'altra parte, divise in due l'Italia, con strascichi di odii e vendette che si protrassero a lungo. Dopo il disfacimento della Repubblica sociale italiana, gli effetti delle vendette continuarono a danno dei fascisti o dei presunti tali ben oltre il ritiro delle truppe germaniche dal nostro suolo.
Circa il 50 per cento dei partigiani erano comunisti e legati al Pci. L'altra metà era costituita da popolari, socialisti, liberali, azionisti, anarchici, i cui partiti di riferimento erano inesistenti o senza organizzazione. Per questo, le azioni più cruente e significative furono sostanzialmente dirette dal Pci. Il suo scopo era quello di liberare il paese dall'oppressione nazifascista, ma anche quello di istaurare un regime comunista filosovietico. Per fortuna non ci riuscirono, altrimenti saremmo caduti dalla padella nella brace, e avremmo avuto vicende simili a quelle avvenute nei paesi che dopo la Seconda guerra mondiale passarono sotto l'influenza di Mosca (Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia). La democrazia e la libertà sarebbero ritardati ad arrivare altri trenta o quarant'anni.
Dino Agate