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10/05/2016 06:05:00

Questione morale e antimafia? Basta solo guardarsi intorno. Due casi: Marsala e Paceco

 Scrivevo ieri del caso di Pino Maniaci, della nostra paura, di questo bruciore fitto, fino al centro dello sterno. Come se ne esce da questo “dolorificio” che è diventata l’antimafia? E’ la domanda che mi fanno tutti, in questi giorni. Soprattutto giovani. E io risposte non ne ho. Non lo so.
Perché è una domanda che ognuno si deve fare e risolvere da sè. Con umiltà, attenzione, concentrazione e responsabilità.
Non è il caso di parlare una questione morale, la questione morale ognuno se la sbriga a modo suo, guardandosi allo specchio. Ogni mattina. Ti guardi, ti concentri. E sai. Non si scappa. Dopodiché puoi decidere di far finta di nulla, o di cominciare a ritrovare il gusto di camminare a testa alta e di respirare a pieni polmoni. Anche per fare passare quel bruciore lì. 
Ah, e non c’è una mafia dell’antimafia, come sento dire in questi giorni, e come diceva lo stesso Maniaci parlando dei suoi avversari: ci sono truffatori, bellimbusti, bulletti e criminali, vittime e impostori.  Sono dappertutto, nel giornalismo come nella magistratura. Nessuno è esente. Fa danni Maniaci, come il magistrato che si occupa di mafia e si sente una specie di Robin Hood, il parente della vittima che si improvvisa sociologo e riversa sugli studenti le sue bislacche teorie, l’avvocato che campa con le costituzioni di parte civile un tanto al chilo, il politico che cerca mafia dappertutto per giustificare la sua elezione avvenuta, ovviamente, “in nome dell’antimafia”.
Facciamo danni tutti noi, ridotti al rango di pubblico. Abbiamo rinunciato al gusto, si, al gusto, di essere cittadini. Cerchiamo eroi da venerare, santi da portare in processione, miti da inondare su Facebook di pollici all’insù. Perchè cadono i miti dell'antimafia? Semplice, perchè abbiamo avuto bisogno di miti. Vorremmo avere un cazzo di eroe antimafia dei nostri tempi al giorno, per citare il frasario di Maniaci. Abbiamo rinunciato a comprendere le cose, ad interrogarci - ogni dubbio viene visto come sfrontato - abbiamo ridotto la parola “intellettuale” quasi a offesa.
E così, sempre per citare il nostro Pino, anche noi, ci siamo messi le corna a posto.

No, soluzioni non ne ho. Se non quella della responsabilità. E la responsabilità, per me, è raccontare le cose. Racconto le cose, e magari le indico, così uno le sa, e non può dire un giorno: chi lo avrebbe mai detto…

Se tutti ricominciassimo da questo, dal segnalare, con serenità, piccole e grandi storture in quella che chiamiamo “antimafia”, porre dubbi, eviteremmo scandali futuri.
Faccio due esempi, mica mi nascondo. Sono due casi che riporto in “Contro l’antimafia”. Ci sono sviluppi.
Il primo caso riguarda l’associazione antiracket di Marsala, che porta il nome di Paolo Borsellino. Ho raccontato in “Contro l’antimafia” la cosa strana, l’anomalia, della bislacca associazione antiracket di Marsala la cui attività e vicina allo zero, che da un giorno all’altro cambia statuto (e sceglie il nome aulico di “Paolo Borsellino”), allarga a dismisura il suo oggetto sociale, apre sedi fittizie in varie parti d’Italia e comincia a costituirsi parte civile nei processi che si tengono qua e là per la penisola. Secondo voi è normale che l’associazione antiracket di Marsala, che nella sua attività non ha mai assistito uno (dico uno!) tra imprenditori e commercianti nella denuncia del pizzo, che ha prodotto nell’ultimo anno solo uno (dico uno!) manifesto in unica copia (dico una!) affissa nel panettiere di fronte ad una scuola, dico, secondo voi è normale che questa associazione si costituisca parte civile nel processo contro la ‘ndrangheta a Bologna? Qualcosa di strano è accaduto, in questi anni, se un’associazione siciliana, molto di facciata, abbia questa attività processuale tale da sentirsi parte offesa per l’attività di una cosca calabrese in Emilia. Questo racconto nel libro. La novità, adesso, è che il Gratta & Vinci ha funzionato. Nel processo, che si è chiuso qualche giorno fa, sono stati riconosciuti all’associazione antimafia di Marsala ben 20.000 euro di risarcimento danni e 7.000 euro di spese legali.
Che un giudice a Bologna decida che una cosca calabrese infiltrandosi in Emilia abbia danneggiato per 20.000 euro un’associazione antiracket di Marsala è una cosa sulla quale siamo chiamati ad interrogarci. Ancora. Cosa farà l’associazione antiracket con quei soldi? Cosa ha fatto con gli altri soldi ottenuti negli altri processi?
Domande da fare ora, per evitare scandali futuri, domani.

Un altro piccolo  caso riguarda un terreno confiscato a Michele Mazzara, imprenditore di Paceco -  “U Berlusconi di Dattilo” lo chiamano - al quale sono stati confiscati beni per 26 milioni di euro, perché è ritenuto molto vicino alla famiglia mafiosa di Trapani. Il terreno in questione è un vigneto in Contrada Gencheria, gestito dalla cooperativa “Lavoro e non solo”, che fa parte del circuito di Libera ed è di Corleone. Quel vigneto è completamente abbandonato. L’uva se la mangiano i cani. In “Contro l’antimafia” mi chiedo: ha senso dare un terreno ad una cooperativa che non ha interesse a coltivarlo e che magari ha interesse solo a registrare gli ettari per ricevere i contributi dovuti? Nessuno mi ha mai risposto. Il terreno è lì, sempre abbandonato, come tantissimi altri. Le foto che sono in questo articolo risalgono a qualche giorno fa. 

Ecco due piccole questioni. Ne potrai citare decine di altre, ma è difficile. Troppo doloroso.
Sempre quel bruciore fitto, fino al centro dello sterno.

Giacomo Di Girolamo