E' uno dei momenti più tristi, più bui, e di sfiducia per la città di Marsala. L'uccisione del Mareciallo Silvio Mirarchi ha lasciato tutti sconvolti.
C'è un senso di smarrimento, di improvvisa insicurezza. Un carabiniere ucciso è un attentato alla nostra comunità. Un carabiniere ucciso è un attentato non solo alle istituzioni, all'Arma dei Carabinieri, ma al nostro essere cittadini.
Da giorni in redazione ci guardiamo sbigottiti. Cerchiamo di unire i puntini, di fare ipotesi su quello che è successo, di capire quale mano criminale abbia premuto il grilletto. Se c’è un legame con i fatti delle scorse settimane, con la piantagione scoperta e le sparatorie di qualche chilometro più in là dal luogo dell'agguato. Se c'è stato un maledetto scambio di persona, con i due carabinieri finiti in mezzo al fuoco tra le bande che si contendono il mercato della droga nel territorio.
Cerchiamo soprattutto noi stessi, di trovare conforto davanti a quello che non è un semplice fatto di cronaca. E', come dicevo, un attentato alla nostra comunità. Al nostro diritto di vivere in una città sicura, al senso del dovere degli uomini e le donne in divisa.
Un mestiere dannato quello del Carabiniere. Stai lì ore e ore appostato, a condurre indagini, o dietro a una scrivania a raccogliere denunce e studiare dossier, a pattugliare il territorio. Un mestiere dannato quello quello dell'uomo in divisa. Quello che, quando tutti dormono, per pochi euro ci si imbatte in posti loschi e non sai come andrà a finire. Occhi e orecchie ovunque, per amore della divisa, per senso del dovere, come l'aveva il maresciallo Mirarchi. Non esistono feste, non esiste giorno e notte, non esistono affetti. Se c'è una pista la devi seguire. Che mestiere dannato quello dell'uomo in divisa, poche gratificazioni, nessun ringraziamento. Si fa tutto in silenzio, per garantire la sicurezza della comunità, senza attestati di stima, tutto per il dovere, tutto per amore di quella divisa. Di quello stemma che Mirarchi mostrava a tutti nel suo profilo Facebook. La sua uccisione è un attentato alla comunità, e al lavoro di chi prova a renderla sicura.
In questi giorni si è tornati a parlare delle condizioni in cui vivono le forze dell’ordine. Personale al minimo, mezzi ridotti, paghe basse per un lavoro ad alto rischio, fisico e psicologico. Si è tornati a parlare di uno Stato che abbandona i suoi servitori, che lascia le loro auto a secco, che blocca i concorsi (e li sblocca solo per le raccomandazioni). D’accordo, i governi negli ultimi anni hanno dirottato parte dei loro investimenti per la sicurezza dalle periferie ad altre zone del paese. Con le forze dell’ordine che fanno cose straordinarie con i pochi mezzi che hanno. Ci chiediamo dove sono le istituzioni.
Ma noi, cittadini, invece, dove siamo stati? Dove siamo stati quando nelle campagne di Marsala crescevano le discariche abusive. Dove siamo stati quando venivano sversati rifiuti nelle cave, nei laghi e nel mare. Dove siamo stati quando si è trattato della cura del territorio, di salvaguardare il posto in cui viviamo. Dove siamo stati quando c'era da aiutare quegli uomini e quelle donne in divisa. Dove siamo stati quando sotto i nostri occhi i ragazzi spacciavano e consumavano come se fosse figo farlo. Dove siamo stati quando i piccoli furti non venivano denunciati perché si credeva di poter risolverla con una piccola ricettazione. Dove siamo stati quando ci si doveva fidare di loro, degli uomini e delle donne in divisa, e non l'abbiamo fatto.
Non la faccio lunga, ma la domanda che ci facciamo, in questi giorni di tristezza, è semplice. Noi, siamo stati abbastanza “cittadini”? Siamo stati d'aiuto a chi lavora per garantire la nostra sicurezza? Siamo stati in grado di facilitare il loro lavoro? Noi che ci indigniamo per le strisce blu, e siamo pronti a fare la rivoluzione per il doppio senso di marcia, per un parcheggio negato, siamo stati d'aiuto?
In sostanza, siamo in grado di far sentire sicuri chi deve garantire la nostra sicurezza? Di far capire che il loro lavoro non è vano? Siamo stati in grado di rendere bello il posto in cui viviamo, e in cui ha scelto di vivere e mettere su famiglia il maresciallo Mirarchi?
Un territorio più bello è anche più sicuro. Lo dicevo qualche tempo fa, quando in città c'è stata l'emergenza delle rapine.
Guardatela la zona dell'agguato, tra contrada Sant'Anna, Santo Padre delle Perriere, Ventrischi e Scacciaiazzo. Le abitazioni, che si affacciano nell'immensa distesa fatta di cave di tufo e vivai. Ci coltivavano le piante ornamentali in quelle serre che stava controllando Mirarchi, ora c'era una piantagione di marijuana con sei mila piante. E più in là sorgono mille piccole discariche abusive, abbiamo ridotto il nostro territorio in una zona d'assalto. Dove c'erano le cave, da cui si estraeva il tufo, per costruire le nostre case, ora ci sono rifiuti. Dove c'erano le palme, ora c'è la canapa.
Guardiamole le periferie delle nostre città, guardiamo il centro, e cerchiamo di capire cosa stiamo sbagliando.
La domanda che mi è passata per la mente, in questi giorni, oltre alle tante altre, è se Marsala si sia meritata il sacrificio del maresciallo Mirarchi. Non lo so.
Trovo conforto negli occhi della madre del militare caduto. Nel suo gesto, al termine della funzione funebre: le mani alzate, dall’interno dell’auto, un saluto alla città. Come a ringraziarla per aver accolto il figlio.
Francesco Appari