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13/07/2016 16:29:00

Binnu Provenzano, il vecchio boss ideologo dell'Italia delle cricche

Sono diventato adolescente, e cominciato ad dare attenzione al mondo, alle cose che mi circondavano, nei primi anni 2000. Quelli della mia età non hanno vissuto la stagione delle stragi, non abbiamo vito la crudeltà di Cosa nostra con i nostri occhi, gli omicidi degli anni 80. Non avevamo visto morti ammazzati per le strade di Marsala, di Trapani, di Palermo. Quella per noi era storia.
C’era però un fantasma che in qualche modo volteggiava sulla Sicilia. Era il fantasma di Corleone. Ricordo che quando la tv parlava di mafia, degli arresti eccellenti nel palermitano, dei blitz antimafia, poi compariva la sua faccia. Quella di Bernardo Provenzano. Facevano vedere la sua ultima foto, quella scattata prima di darsi alla latitanza. Facevano vedere il suo volto ricostruito, e attualizzato, al computer. La stessa tecnica, age progression, che oggi viene usata per il suo erede, Matteo Messina Denaro.
Ecco, c’era questo fantasma. Bernardo Provenzano, latitante da decenni. Era nascosto da 43 anni quando lo hanno preso, nell’aprile 2006. Il silenzio della mafia, si era rotto. Le edizioni straordinarie alla tv, i giornali del giorno dopo che mostravano la faccia sconfitta di un settantenne circondato da pizzini, ricotta e santini. Stava là, “binnu” Provenzano, vicino casa sua, vicino la sua Corleone. Ricordo quelle immagini alla tv, con gli agenti in festa, con le sirene acese, e il boss a braccetto. Era lo Stato che vinceva. Ci dicevano che Cosa nostra non sarebbe stata più come prima, che sarebbe stata sconfitta. Ci diceva che preso il capo tutti gli altri cadranno presto, e la Sicilia sarà libera.

Ma la Sicilia era già cambiata, Cosa nostra era già cambiata.
Provenzano non era solo “u tratture”, quello che distruggeva ogni cosa sul suo cammino. Provenzano era una mente raffinata, che dal suo covo, dopo la cattura di Totò Riina, ha cambiato radicalmente la strategia di Cosa nostra. Ha cominciato quel processo di mutazione di una criminalità organizzata sempre più silenziosa, infiltrata nel tessuto economico del territorio. La strategia era semplice: poco chiasso, pochi spari e tanti affari. Ha gettato le basi per la creazione di una criminalità organizzata che si togliesse di dosso il fetore della ricotta e si mettesse l’abito buono per stringere affari con i professionisti, per sedersi ai tavoli che contavano. Si è cominciato a fiutare il grande business dei fondi europei, dell’economia pulita, legale, di creare un sistema di potere che puntasse su più fronti e più partiti. Ha trovato, Provenzano, in Matteo Messina Denaro, l’erede ideale per questa strategia del silenzio. Oggi, ci diciamo che cosa nostra, è ridotta al lumicino. Che dopo Provenzano tocca a Messina Denaro. E poi, fine, la Sicilia sarà libera. Non è così. Ci troviamo al nostro fianco, ormai annidata nella nostra economia, l’attuazione della strategia di Provenzano. Un sistema fatto di professionisti, avvocatoni, politici, funzionari, che non hanno alcun dito “pungiuto”, ma che hanno saputo servirsi delle basi gettate da cosa nostra per nutrire un sistema di affari. E’ la mafia dell’energia rinnovabile, le lobby dei rifiuti, il sistema contorto che razzia i fondi europei destinati al meridione.
Noi non sapevamo cosa fossero le lupare bianche, non abbiamo mai conosciuto il rumore di uno sparo, il fragore di una bomba. Abbiamo sentito il silenzio, di una mafia che cambiava sulla nostra pelle. Muore Binnu Provenzano, muore una vecchia idea di mafia. Muore l'ideologo dell'Italia delle cricche. 


Francesco Appari