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06/12/2016 06:00:00

Stragi, in Commissione Antimafia arriva la pista dei soggetti "esterni" e dei servizi

 Il deputato Pd della Commissione antimafia Davide Mattiello ha auspicato l'apertura di un'inchiesta parlamentare così da comprendere “cosa è accaduto tra il 2012 e il 2013, quando un magistrato della Dna è diventato bersaglio di attacchi concentrici col risultato di azzerare una ricostruzione dello stragismo che allarga l’obiettivo fuori da Cosa Nostra”. Si tratta della pista a suo tempo seguita dall'allora sostituto della Direzione nazionale antimafia, Gianfranco Donadio, sul ruolo che avrebbero ricoperto elementi riconducibili ai servizi segreti e ad ambienti deviati dello Stato. Nello specifico, di un uomo dal volto sfregiato conosciuto come “faccia da mostro”, collegato da alcuni collaboratori di giustizia all'ex poliziotto Giovanni Aiello, e di una donna bionda, tale Antonella, secondo il pentito Nino Lo Giudice “una guerrigliera, addestrata militarmente a Capo Marrargiu (vicino ad Alghero, ndr) perfino più pericolosa dell’uomo”.
C'è un verbale, depositato dallo stesso Mattiello in Commissione e datato 8 ottobre 2014  in cui Donadio spiega al pm catanzarese Gerardo Dominijanni l'indagine da lui seguita, chiarendo che la sua intenzione era di “seguire la pista sull’operatività di un’organizzazione terroristica che ha affiancato Cosa nostra nella stagione stragista”, passando dal fallito attentato all'Addaura, alla scomparsa degli agenti Piazza e Agostino, alla bomba di via dei Georgofili, attraverso diversi colloqui investigativi ed atti d'impulso trasmessi alle procure di Palermo, Caltanissetta, Catania, Reggio Calabria e Firenze. Claudio Fava, vicepresidente della Commissione antimafia, non si è pronunciato sul punto ma ha dichiarato che “è riduttivo affrontare solo il capitolo Donadio” e “dopo il 5 dicembre avvieremo l’approfondimento su stragi e depistaggi, per saldare il debito di verità nei confronti di una stagione ancora oscura”.
Sempre secondo Mattiello, infatti, “la Commissione Antimafia non può attendere la conclusione di tutti i processi relativi alle stragi di mafia per occuparsi di quel periodo così tragico. Anche perché il lavoro giudiziario portato avanti con determinazione ed efficacia continua a produrre risultati importanti” anticipando settimane fa che avrebbe proposto “di acquisire gli atti di impulso che la Dna predispose tra il 2009 e il 2013 sulle stragi di mafia e su alcuni omicidi come quello di Nino Agostino e di sua moglie Ida”.
Di “faccia da mostro” ne hanno parlato, tra gli altri, i pentiti Vito Lo Forte e Vito Galatolo: quest'ultimo, che per primo rivelò dell'esistenza di un piano di morte nei confronti del pm Nino Di Matteo, ha dichiarato di aver riconosciuto il suo volto in quello di Aiello, che secondo il collaboratore negli anni Novanta avrebbe frequentato vicolo Pipitone, regno dei Galatolo nel quale Cosa nostra si riuniva ai tempi di Totò Riina. Ma il primo a parlarne fu il confidente Luigi Ilardo, assassinato nel '95, che raccontò di un uomo dello Stato, con il viso orribilmente devastato, che sarebbe stato presente in alcuni episodi come il fallito attentato all’Addaura contro il giudice Falcone e l'omicidio dell'agente Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio.
“Faccia da mostro” è stato nominato anche dal pentito calabrese Lo Giudice: “È stato il poliziotto Giovanni Aiello, alias 'faccia da mostro', – ha detto – a far saltare in aria Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta” aggiungendo che “fu lui a schiacciare il pulsante in via d’Amelio”. Proprio sulle sue dichiarazioni poggiava il lavoro di Donadio, che fu incaricato dall'attuale presidente del Senato Piero Grasso. Poi Lo Giudice ritrattò, sostenendo di essere stato costretto e “spronato da più parti”. Salvo poi fare nuovamente marcia indietro e dichiarare che uomini appartenenti ai servizi gli avrebbero detto “di stare attento a toccare certi argomenti” parlando di Aiello. “Grave che Lo Giudice racconta di essere stato indotto a calunniare Donadio. – è quanto ha sostenuto Mattiello – Da chi e perché? Credo debba interessare l’Antimafia”. A questo si aggiunse in precedenza una sorprendente fuga di notizie in merito al resoconto di due riunioni nel quale Donadio aveva esposto gli sviluppi di un’indagine. Una divulgazione definita dal pm “inqualificabile”. L'allora procuratore Grasso, aveva precisato il magistrato, “era informato di tutte le mie iniziative”, eppure nel 2013 il Csm aprì una pratica su Donadio, accusandolo di aver portato avanti indagini “parallele” e compromettendo così il lavoro svolto dalle altre procure.