Una domenica al luna park, fatemi passare la suggestione, ma questo direi se io fossi una bimba e dovessi raccontare come ho trascorso la mia domenica. Due appuntamenti con le arti, a cominciare con le vertigini dolci dell’altalena epistolare, offerta dalla rassegna Baluarte al Teatro Comunale. Una coppia di attori di rango, accompagnati dalle note discrete di un pianoforte. Mariano Rigillo e Anna Teresa Rossini, amanti in scena e nella vita reale, si sono rincorsi offrendo impeccabili nuance espressive delle epistole tra Federico De Roberto ed Ernesta Valle.
Parole d’amore, il titolo dello spettacolo tratto dal libro Si dubita sempre delle cose più belle edito da Bompiani. Uno srotolarsi di ardori inconfessabili che mai avresti immaginato in bocca dell’autore de I viceré. Una storia clandestina intrisa di passione che oltrepassa la carne e ammanta ogni cosa di spirito impalpabile. Neppure l’anima può contenerla coi suoi limiti eterei. Perché l’amore è anche carne. Carne promessa e scambiata tra i due amanti. Un reading da pelle d’oca, considerando che i protagonisti interpreti condividono il letto oltre al palco. Impossibile non distrarsi, di tanto in tanto, per spiarli nella loro casa, nella vita di tutti i giorni. E chissà come dev’essere vivere insieme i turbamenti della scena e portarseli a casa anche dopo e spartirci il letto. L’epistolario è una formula amata e odiata in letteratura, forse una scorciatoia, o, magari, il solo modo per non distrarsi con il contesto e andare dritto al cuore. Le parole d’amore più belle abitano nelle lettere. È lì che sono a casa. La letteratura ne ha dato ampia prova e ora sto pensando a Storia di una capinera.
Sono scesa dall’altalena del Comunale per salire sulle montagne russe, quelle tracciate dalle musiche di Danilo Rea e sorrette dalla voce di Gino Paoli. Altro giro altra corsa, stavolta al teatro Impero. Ma quanti anni ha Gino Paoli? Non voglio neppure cercare la risposta, perché la sua voce non teme il tempo, non si avventura mai nell’urlo inutile di chi non ha cose da dire. Paoli ti sussurra all’orecchio parole d’amore, e gli perdoni pure quel napoletano meneghino dei grandi classici che hanno partorito la canzone italiana. Meglio essere vecchi che morti, ironizza, quasi avvertisse la domanda del pubblico. E la furtiva lacrima, che apre il concerto, è l’avvertimento per tutti i presenti. Vedrai, sembra dire, scapperà stasera anche a te. Non sai se seguire la musica di Rea o il canto di Paoli, ti senti dentro un flipper , sbatacchiato da una parte e l’altra dal gioco artistico ben congeniato. Accecata dai riverberi delle scarpe di vernice lucidissima di Danilo Rea che agita il piede come un metronomo impazzito. Altro giro, altra corsa, venghino signori, venghino. E sono venuti i signori, ottocento o poco più. Ma sapete che c’è, non ho voglia di fare i conti, non m’importa chi c’ha guadagnato o meno tra i due spettacoli. Il giro di giostra non ti chiede il surplus per le inquietudini provate, quelle le devi mettere tu da spettatore. Paghi il biglietto e sei libero di dormire in sala o chiudere gli occhi e lasciarti andare a quel richiamo antico.
Si parla sempre d’amore, fateci caso. Ora nelle canzoni, ora nelle lettere, talvolta le lettere d’amore fanno solo ridere, ma ha ragione Vecchioni, solo chi non ha scritto mai lettere d’amore… fa veramente ridere.
Katia Regina