C'è l'asse Marsala-Castelvetrano-Partinico dietro la coltivazione di marijuana nelle campagne di Marsala e in particolare nella zona in cui è stato ucciso il Maresciallo dei Carabinieri Silvio Mirarchi. Sono i nuovi elementi emersi nel corso delle indagini che vanno avanti dal 31 maggio scorso, da quando il maresciallo dei carabinieri è stato raggiunto da alcuni colpi di pistola mentre era in servizio con un collega nella zona di Ventrischi nei pressi di una serra in cui poi si scoprì esserci una piantagione di marijuana. Mirarchi è morto il giorno dopo a Palermo, e da allora le indagini non si sono fermate per fare piena luce sui tragici eventi di quella notte.
Accusato di omicidio è Nicolò Girgenti, bracciante agricolo di Marsala, ritenuto anche uno dei gestori della piantagione di marijuana. E su questo fronte le indagini hanno portato all'emissione di una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere per Girgenti, e l'arresto di Fabrizio Messina Denaro, castelvetranese. Non sarebbe parente della famiglia Messina Denaro, anche se il suo nome rientra nell'operazione antimafia Eden 2. Girgenti e Messina Denaro sono accusati di produzione e traffico di sostanze stupefacenti. Le indagini dei Carabinieri hanno, infatti, permesso di accertare che i due avevano programmato e realizzato, assieme ad altri soggetti, la piantagione di marjuana antistante il luogo dove fu ferito mortalmente il maresciallo Mirarchi.
Promotore dell’iniziativa illegale fu proprio Fabrizio Messina Denaro, noto come Elio, che conoscendo personalmente e da anni il Girgenti, dal quale acquistava le piante che poi rivendeva nel chiosco antistante il cimitero di Castelvetrano, propose al vivaista marsalese di cedere l’utilizzo delle serre a Francesco D'Arrigo, che ne avrebbe curato in prima persona la coltivazione. Quest’ultimo fu immediatamente individuato e arrestato la notte dell’omicidio. A Girgenti fu promesso un lauto compenso, che arrivò solo in parte. E secondo gli inquirenti Girgenti aveva deciso di rubare della marijuana dalla serra.
Intanto il vivaista marsalese, unico accusato dell'omicidio fino a questo momento, resta detenuto a San Giuliano nonostante la richiesta di scarcerazione fatta dal legale di Girgenti, l'avvocato Vincenzo Forti, e rigettata dal Gip di Marsala.
La difesa di Girgenti sostiene che ci siano diverse incongruenze nelle prove a carico dell'unico accusato dell'omicidio del maresciallo Mirarchi.
Ad esempio che sulle sigarette rinvenute all'interno della serra non è stato trovato il Dna di Girgenti, che gli indumenti rinvenuti all'interno del gabbiotto di guardiania della serra, e sottoposto ad analisi, non sarebbero della taglia dell'uomo. Una delle prove che hanno portato all'arresto di Girgenti è quella della localizzazione dell'auto nella zona in cui avvenne il delitto, per la difesa però l'uomo non avrebbe avuto ragione di utilizzare l'auto per recarsi sul luogo del conflitto a fuoco visto che abitava lì vicino e poteva recarsi a piedi. Sempre secondo la difesa di Girgenti l'auto in quel periodo si trovava dal carrozziere, e inoltre non sarebbe stata univocamente identificata dalle telecamere collocate nei pressi del luogo del delitto, così come i risultati estrapolati dalla scatola nera presenterebbero margini d'errore. La prova madre è quella del tampone fatto sugli indumenti di Girgenti in cui sono state trovate tracce di polvere da sparo. Secondo la difesa però gli indumenti sarebbero stati contaminati.
Ma il Gip di Marsala, Anna Lisa Amato, ha rigettato la richiesta di scarcerazione. E ha rianalizzato tutte le prove a carico di Girgenti e le osservazioni della difesa.
In particolare definisce “irrilevanti” le osservazioni sui mozziconi e sull'utilizzo dell'auto. Nella serra, oltre a mozziconi di sigaretta di altre marche senza il dna di Girgenti, ne è stato trovato uno di Marlboro rossa con il Dna di Girgenti che durante l'interrogatorio ha ammesso che sarebbe stato possibile trovare un suo mozzicone dentro la serra, visto che l'ha frequentata per 12 anni. Ma non è questa la prova madre. Per il giudice la presenza del mozzicone non è un elemento che mette con le spalle al muro Girgenti, ma serve per comprovare che l'uomo ha frequentato e ha avuto una “cointeressenza nella gestione della coltivazione”. L'altra contestazione è quella dell'auto in carrozzeria. Contestazione definita irrilevante dal Gip perché l'auto di Girgenti si trovava in Carozzeria fino al 19 maggio, e l'omicidio si è consumato il 31, inoltre c'è un testimone che ha dichiarato di aver visto l'auto di Girgenti nei pressi della serra una settimana prima del delitto.
Per l'accusa Girgenti si era recato, quella sera, nella serra per trafugare la marijuana coltivata. E non poteva andare a piedi. Sugli spostamenti dell'auto si basa molto delle tesi di accusa e difesa. Se per la difesa le immagini riprese da telecamere a circuito chiuso nella zona la sera del delitto non sono affidabili perché non rendono chiara la targa, per l'accusa sono utili perché riescono a definire il modello e il colore dell'auto, uguale a quella di Girgenti. Ci sono poi i dati della scatola nera, utili per l'accusa per localizzare Girgenti nel luogo e nell'ora del delitto, assieme ai dati del telefono cellulare.
La scatola nera non localizza esattamente l'auto, ma solo il Comune in cui si trova e se in moto o spenta. E quel giorno ha rilevato il tragitto Marsala, Petrosino, Mazara, nel pomeriggio, oltre all'accensione prima e dopo l'ora l'omicidio. A questi l'accusa associa i dati dei tabulati telefonici nei quali è si evidenzia che la sim di Girgenti si sarebbe agganciata al ponte ripetitore che copre il luogo dell'omicidio nei minuti del delitto. Girgenti ha poi dichiarato che era uscito da casa dopo la sparatoria per andare a vedere cos'era successo e ha citato due testimoni oculari che lo avrebbero visto. Ma questi due hanno smentito tutto.
Si basa molto sulle analisi scientifiche quest'indagine. Si basa sullo stub e i rilievi fatti dal Ris. Per la difesa ci sono state delle contaminazioni negli indumenti prelevati a Girgenti, e le tracce potrebbero esser state confuse con quelle dei prodotti utilizzati dall'indagato per il suo lavoro di vivaista. Ma per il Gip che ha rigettato la richiesta di scarcerazione si tratta di ipotesi “suggestive e prive di fondamento”. Sulla contaminazione il Gip spiega nella sua istanza che gli indumenti erano stati presi la stessa sera dei fatti da casa dell'indagato e con la stessa cesta messi nel portabagagli dell'auto di servizio della polizia giudiziaria, “dove non vengono poste armi che possano aver contaminato gli stessi” e poi “prelevati dai Ris on le dovute cautele”. In più aggiunge il Gip sposando la tesi dei Ris di Messina che “nessuna analisi per la identificazione di particelle residue di colpi di arma da fuoco condotta mediante le metodologie internazionalmente riconosciute come efficaci può portare a confondere residui dello sparo con particelle contenute in concimi, fertilizzanti di varia natura e prodotti affini”. La difesa ha sostenuto che una sola particella di polvere da sparo non è sufficiente per sospettarlo di omicidio e quindi di lasciare in carcere Girgenti. Il Gip però ha ricordato che Girgenti aveva dichiarato di essersi fatto una doccia quando la polizia giudiziaria si è recato presso la sua abitazione.
Per il Gip restano in piedi i gravi indizi a carico di Girgenti. Inoltre ipotizza il pericolo di recidiva, visto che non è stata rinvenuta l'arma del delitto, e il pericolo di fuga, visto che Girgenti intercettato pochi giorni prima dell'arresto faceva intendere che voleva partire perchè “a breve arriveranno i carabinieri”.
I carabinieri poi sono arrivati, e da fine giugno scorso Girgenti è in carcere. In questi giorni sono emersi nuovi particolari, mentre l'inchiesta continua su uno dei fatti di cronaca che ha scosso maggiormente la comunità di Marsala.