Frontiere occidentali (da Eros e mente, Edizioni La Vita Felice, 1996) di Maria Attanasio, attraverso un canto poetico accompagnato dalle ritmiche percussioni dei darbùka, innova della virgiliana figura di Didone la voce capace di oltrepassare la soglia delle liquide frontiere e costruire un ponte fra l’oriente e l’occidente del nostro comune specchio primigenio: il Mediterraneo.
«Sorgi, vendicatore, dalle mie ossa», aveva gridato la regina di Cartagine contro il perfido Enea fuggito alla volta dell’Italia: una maledizione che segnerà un conflitto ultra-millenario fra le civiltà arroccate sulle opposte sponde. Ma oggi l’eco di quelle parole di odio s’è estinto, i suoi versi sono divenuti una piattaforma che si affaccia sull’alterità, unico mare navigabile per risolvere gli insoluti complessi identitari che ci perseguitano quotidianamente.
Una dogana infinita ci separa
un sonno d’alghe
un dormiveglia di guerre a Oriente
mentre il faro traballante dell’Europa
rischiara l’acqua di finta luce
dilaziona
il ricomporsi del buio alle spalle.
Un respirare fitto risale il mare
un dispiegarsi di forme che il vento
suscita fra rovine e palazzi
spinge verso liquide frontiere,
Cartagine roca, inaccessibile,
in una notte
scandita da martelli pneumatici,
stordita dai darbùka.
Marco Marino