Non si stava meglio quando si stava peggio,… solo si sognava meglio. Filippo Piccione sognò così forte… che gli uscì sangue dal naso, ricordando la poetica di De Andrè. Un giovane bracciante, che, detto così, fa pensare ad un adolescente maturo di diciotto, vent’anni. Quel giovane bracciante era solo un bambino di dodici anni, come quelli che oggi frequentano le medie e ancora vengono accompagnati dai genitori a scuola. Altro che diritto allo studio! Nonostante la predisposizione, la condizione di povertà della famiglia di Filippo gli impedì di studiare, nel rispetto delle leggi di allora.
Come in Nuovo cinema Paradiso, il bimbetto estasiato dal grande schermo lo abbiamo avuto anche noi. Il cinema si chiamava Vaccari , si trovava a Terrenove, ma pochi se ne ricordano. Così come abbiamo avuto anche noi un omologo di Don Milani, che per Filippo fu il senatore Pino Pellegrino. Fu quest’ultimo ad introdurlo nella comunità politica del Partito Comunista Italiano . La storia ripercorre il sogno e l’Italia del Dopoguerra, quella affamata e analfabeta, tutta da ricostruire. Marsala, in quegli anni, era il miraggio per i contadini delle contrade… u paisi. Ogni paese ha una o più storie simili a quella di Filippo Piccione, questa però, ci appartiene, condivide con noi i luoghi e il comune sentire, ecco perché vale la pena leggerla, anzi vederla sabato sera al teatro Comunale.
Viddranu sugnu chiude la rassegna invernale del cartellone scelto da Moni Ovadia, un omaggio al nostro territorio messo in scena da un giovane attore marsalese. Sarebbe bello sospendere per un’ora le polemiche che ci sono state in città per questa scelta che premia una piccola rappresentanza di artisti locali. Oltre a Francesco Torre, che ha curato e diretto insieme a Bruno Prestigio, la versione teatrale del testo, in scena anche il mazarese Alessandro Burzotta, anch’egli come Francesco, diplomato all’Istituto Nazionale Dramma Antico di Siracusa. Le musiche originali sono state curate da alcuni tra i più bravi musicisti marsalesi: Gregorio Caimi, Aldo Bertolino e Gianluca Pantaleo. Ad aprire lo spettacolo un contributo vocale della bravissima Deborah Messina, altra voce fuori campo quella di Maddalena Serratore, ed infine Monica Gualtieri nel ruolo silenzioso di tutte le donne che hanno attraversato la vita del protagonista. In questi giorni ho conosciuto Filippo Piccione, ho ascoltato la sua straordinaria vicenda umana, gli studi ripresi durante il servizio di leva, il diploma, il lavoro alle Poste italiane, che oggi sarebbe già un obiettivo finale per molti giovani lavoratori interinali, e lo poteva essere anche allora per molti, ma non lo è stato per il nostro, che ha spinto il suo sogno oltre ogni limite fino alla laurea, due addirittura e, infine, la brillante carriera da dirigente del Ministero di Grazia e Giustizia.
La sua autobiografia: Il bracciante di Berbaro, è il manifesto della nostalgia per la propria terra, l’orgoglio d’appartenenza alla sua classe sociale, e lo ribadisce sin dal titolo. Non gli servono virtuosismi linguistici per raccontare come sono andate le cose in quegli anni, com’era il territorio senza gli abusi edilizi, cos’era la politica quando era costituita, anzitutto, da una comunità umana. Ci penseranno altri a fare la recensione dopo lo spettacolo, io, stavolta, ho scelto di parlarne prima, preferisco assistere in silenzio al cuntu di un uomo capace di sognare prima ancora di essere sazio di pane. Una lezione per quanti credono che con la pancia vuota sia impossibile farlo.
Katia Regina