Caos alla Regione Siciliana dopo che è stata dichiarata incostituzionale la legge sull'acqua pubblica. In questo momento non c’è infatti nessun ente formalmente in grado di governare il settore.
Alla Regione è scattata la corsa per evitare il caosNei prossimi giorni è previsto un faccia a faccia fra la Contrafatto e Crocetta per verificare la tenuta della legge dopo le pronunce di incostituzionalità. L’assessore ribadirà al presidente che le pronunce della Consulta riguardano aspetti che non avrebbero dovuto essere nella legge fin dall’inizio e che lei aveva pubblicamente contestato.
Ma questo è il passato. Ora bisogna organizzare un sistema che permetta di governare il settore: «Nei mesi scorsi - ha detto ieri l’assessore - avevamo predisposto un disegno di legge che correggeva le parti oggetto dell’impugnativa. Ma visto che non abbiamo fatto in tempo ad approvarlo e nel frattempo è arrivata la pronuncia, ora non ha più senso portarla avanti».
Tradotto: ci affidiamo alle regole nazionali e attuiamo quello che la Consulta ha salvato della legge regionale.
Il primo aspetto - regole nazionali - riguarda soprattutto la determinazione delle tariffe: «Malgrado ciò che prevedeva la legge, avevamo già capito che bisognava restare agganciati all’Authority. E così continuera ad essere. Applicheremo le tariffe stabilite dall’organismo nazionale, che assicura terzietà fra i privati e gli enti pubblici».
Su tutto il resto però la Regione deve organizzarsi. A cominciare dalla creazione delle Ati, cioè gli enti che avranno il potere di gestire il settore applicando le norme nazionali. «Farò nei prossimi giorni una circolare indirizzata a tutti i Comuni - ha aggiunto la Contrafatto - per spiegare loro come applicare la legge dopo le censure. La parte non toccata dalla Consulta riguarda la governance e consente l’individuazione delle nove Ati, le assemblee territoriali, che hanno il governo del settore».
Funzionerà così. Le Ati mettono insieme i sindaci dei territori ed eleggono al loro interno i vertici che si occupano di gestire la programmazione delle risorse idriche applicando le leggi nazionali. «Saranno le Ati - ha precisato l’assessore - a decidere se affidare il servizio interamente a privati o a società miste oppure a strutture del tutto pubbliche». Questo prevede la legge regionale nella parte rimasta intatta. E si somma alle regole nazionali per l’affidamento del servizio.
Semplice? Niente affatto. Perchè ora che diventano indispensabili, si «scopre» che le Ati non ci sono. Dovevano già esserci, ma non sono state create. Ne dovrebbe esistere una per ogni provincia e avrebbe dovuto già aver eletto i propri vertici. Invece, ricostruisce l’assessore, «solo Palermo e Catania hanno compiuto qualche passo peraltro incompleto mentre per tutte le altre non è stato fatto nulla. Le Ati sono state, malgrado le mie diffide inviate da oltre un anno, inadempienti e omissive. I Comuni hanno atteso non si sa che cosa». La Contrafatto invierà nei prossimi giorni delle nuove diffide per accelerare la costituzione delle Ati.
Nell’attesa però tutto resterà come adesso: «I privati che gestiscono il servizio in base a contratti vigenti continueranno fino a scadenza degli accordi. Visto che solo l’Ati avrebbe il potere di modificare o sciogliere questi contratti» ha specificato la Contrafatto.
E per i cittadini cosa cambia. Stabilito che le tariffe non verranno abbassate (bocciata questa parte della legge) ma resteranno quelle decise a Roma, si potrebbe verificare una giungla di costi. Ad Agrigento, per esempio, i privati di Girgenti Acque hanno si sono aggiudicati il servizio in base a una gara ma la metà dei Comuni del territorio non ha poi ceduto le reti proprio in attesa della riforma ora caduta. «Il risultato è che nei Comuni in cui Girgenti è entrata in azione - ha concluso l’assessore - c’è una tariffa e in tutti gli altri i costi cambiano e non sappiamo nemmeno se i Comuni fanno realmente pagare ai cittadini l’acqua consumata».