di Leonardo Agate - E continuiamo a essere legati alle banche. In un modo o nell’altro siamo vittime delle banche e dei politici che intrecciano con loro rapporti ambigui.
Sembrava che il caso dell’allora ministra Maria Elena Boschi, riguardante il dissesto della banca Etruria, di cui il papà era vicepresidente, fosse stato dimenticato, dopo le polemiche e le insinuazioni degli avversari e le difese, anche in parlamento, della ministra.
Per sommi capi, durante il governo guidato da Matteo Renzi avvenne questo: c’erano delle banche che stavano molto male e rischiavano di fallire. Il governo cominciò ad affrontare il groviglio di spericolate operazioni bancarie, con perdite pesanti per i risparmiatori, cercando di salvare capre e cavoli. Tentò, senza per altro completamente riuscirci, a non far chiudere certe banche e a salvaguardare, almeno in parte, gli interessi dei risparmiatori.
In linea di massima, il tentativo del governo poteva andare bene, ma a ben guardare, alla fine, chi ci rimetterà sarà Pantalone, cioè il contribuente italiano che paga le imposte.
Perché certe banche male amministrate, se si vogliono tenere in vita, hanno bisogno di avere risanato il loro passivo con un intervento pubblico.
Ciò posto, durante il governo Renzi che tentava di salvare le banche e i risparmiatori, era ministra Boschi. Una delle banche che dovevano essere salvate era Banca Etruria. Nel febbraio 2015 la Banca d’Italia commissaria Banca Etruria. Secondo la relazione del commissario liquidatore, il buco della banca ammonta a oltre un miliardo di euro. Il padre dell’ex ministra, oggi sottosegretaria alla presidenza del consiglio, Pier Luigi Boschi, faceva parte del consiglio di amministrazione della banca. Era entrato nel consiglio nel 2011, dal 2014 era vicepresidente dell’istituto. Era anche destinatario di una sanzione di Bankitalia, emessa all’esito di un’ispezione conclusa nel 2013.
A novembre 2015, il governo vara il decreto “salva banche”. All’interno del decreto, oltre al recepimento delle direttive europee, c’è anche una norma che impedisce ai creditori sociali l’azione di responsabilità contro i membri degli organi amministrativi e di controllo. Praticamente, coloro che avevano affossato le banche non potevano essere chiamati in giudizio dai creditori per le loro malefatte. Nella categoria dei membri, esentati dall’azine di responsabilità, c’era il padre dell’allora ministra.
Subito ci si chiese: non c’è un conflitto di interessi tra la ministra Boschi e Banca Etruria, nell’operazione “salva banche”? La domanda era più che legittima. La ministra si difese dimostrando di non aver partecipato alle riunioni del consiglio dei ministri quando si discuteva del salvataggio della banca di papà. Comunque era presente quando, il 15 settembre 2015, il governo approvò lo schema di decreto legislativo che ha fissato il quadro di regole per gestire le crisi bancarie.
Tra l’altro, il papà della ministra divenne vice presidente dell’istituto quando la figlia è diventata ministra.
A giorni uscirà nelle librerie il libro di Ferruccio De Bortoli, “Poteri forti (o quasi)”, edito dalla Nave di Teseo, in cui il conflitto di interessi “ministro Boschi – Banca Etruria – vicepresidente della banca “, riesplode, perché l’autore racconta che la ministra chiese all’amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria. “Ghizzoni comunque - è scritto nel libro – incaricò un suo collaboratore di fare le opportune valutazioni patrimoniali, poi decise di lasciar perdere”. L’Ad di Unicredit non ha smentito. Fonti vicini a Unicredit hanno fatto trapelare che l’istituto non ha subito pressioni, ma non negano incontri, colloqui e contatti.
Mentre, quando scoppiò nel 2015 il caso Boschi – Banca Etruria, la ministra fu difesa a spada tratta dal governo e dal suo capo, stavolta sembra doversi difendere da sola, perché non ha più la piena solidarietà dell’attuale governo, il cui capo, Paolo Gentiloni, è stato messo là da Renzi, ma è pure diverso da Renzi, e forse mal sopporta di avere alla presidenza un sottosegretario che gli è stato imposto, quasi per controllarlo, dall’ex presidente del consiglio.
Stavolta l’ex ministra, ora sottosegretaria, minaccia querele. Non si è capito bene se contro l’autore del libro o contro i 5Stelle che ne chiedono le dimissioni.
Vedremo il seguito, ma una cosa è certa: De Bortoli non è un giornalista di primo pelo, che per vedere il suo nome sui giornali o in libreria sia disposto a rischiare processi penali e civili dall’incerto esito. De Bortoli è stato direttore del Corriere della Sera per dodici anni e del Sole 24 Ore per cinque. Attualmente è presidente della casa editrice Longanesi. Se ha raccontato quel che ha raccontato sul possibile conflitto di interessi ministra Boschi – Banca Etruria, avrà le sue prove.
La posizione della sottosegretaria, ex ministra, oggi sembra più debole di quella di allora. Il passato a volte ritorna, furioso di essere stato troppo presto accantonato.