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01/06/2017 06:00:00

Un anno dall'omicidio Mirarchi. Le indagini, la droga, gli arresti e il rinvio a giudizio

E’ trascorso un anno dalla morte del Maresciallo dei carabinieri Silvio Mirarchi, fatto che sconvolse non solo la comunità marsalese ma tutta l’Italia. Il vice comandante della stazione di Ciavolo si spegneva un anno fa in ospedale lasciando moglie e due figli, dopo essere stato raggiunto da alcuni colpi d'arma da fuoco mentre si trovava in servizio nei pressi di una serra di marijuana in contrada Ventrischi. Assieme al collega, l’appuntato Antonello Massimo Cammarata, che si è salvato dalla pioggia di fuoco, era impegnato in un appostamento, volto a contrastare furti, nei pressi di una serra all’interno della quale furono scoperte 6 mila piante di canapa afgana.

E ad un anno esatto dai fatti, con indagini sicuramente non semplici, si è arrivati due giorni fa al rinvio a giudizio per Nicolò Girgenti, il 46enne bracciante agricolo e vivaista marsalese, ritenuto al momento il presunto e unico assassino di Mirarchi, anche se è certo che sul luogo del delitto c’era almeno un’altra persona, perché a sparare sono state due pistole, fatto confermato dall’appuntamento Cammarata e dai bossoli trovati sul luogo della sparatoria, appartenenti ad una semiautomatica in dotazione alle forze dell’ordine e ad una calibro 38.  Per Girgenti, rinviato a giudizio dal giudice delle udienze preliminari di Marsala Sara Quittino, il processo inizierà il prossimo 14 luglio davanti alla Corte d’Assise di Trapani. A Girgenti oltre al tentato omicidio dell’appuntato Cammarata, e ai reati di produzione e traffico di sostanze stupefacenti, vengono contestate le due aggravanti relative all’omicidio e al tentativo di omicidio di pubblico ufficiale.

La droga, le indagini e gli arresti -  Il giorno dopo l’agguato i Carabinieri del comando provinciale hanno arrestato Francesco D’Arrigo, di Partinico, indicato come gestore della serra in cui venivano coltivate le sei mila piante di marijuana. I carabinieri la sera prima hanno convocato in caserma il proprietario delle serre, Giovanni Abate. Poi sono scattate le manette a D’Arrigo.
L’evoluzione delle indagini ha portato a scoprire un’asse Marsala-Castelvetrano-Partinico dietro la coltivazione di marijuana nelle campagne Marsalesi e in particolare nella zona in cui è stato ucciso Mirarchi. La direzione intrapresa dagli inquirenti in questo senso ha portato lo scorso febbraio all'emissione di una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere per lo stesso Girgenti e all'arresto di Fabrizio Messina Denaro, castelvetranese. Non sarebbe parente della famiglia Messina Denaro, anche se il suo nome rientra nell'operazione antimafia Eden 2. Girgenti e Messina Denaro sono accusati di produzione e traffico di sostanze stupefacenti. Le indagini dei Carabinieri hanno, infatti, permesso di accertare che i due avevano programmato e realizzato, assieme ad altri soggetti, la piantagione di marjuana antistante il luogo dove fu ferito mortalmente il maresciallo Mirarchi. Promotore dell’iniziativa illegale fu proprio Fabrizio Messina Denaro, noto come Elio, che conoscendo personalmente e da anni il Girgenti, dal quale acquistava le piante che poi rivendeva nel chiosco antistante il cimitero di Castelvetrano, propose al vivaista marsalese di cedere l’utilizzo delle serre a Francesco D'Arrigo, che ne avrebbe curato in prima persona la coltivazione. Quest’ultimo fu immediatamente individuato e arrestato la notte dell’omicidio. A Girgenti fu promesso un lauto compenso, che arrivò solo in parte. E secondo gli inquirenti Girgenti aveva deciso di rubare della marijuana dalla serra.

La difesa di Girgenti - La difesa di Girgenti sostiene che ci siano diverse incongruenze nelle prove a carico dell'unico accusato dell'omicidio del maresciallo Mirarchi. Ad esempio che sulle sigarette rinvenute all'interno della serra non è stato trovato il Dna di Girgenti, che gli indumenti rinvenuti all'interno del gabbiotto di guardiania della serra, e sottoposto ad analisi, non sarebbero della taglia dell'uomo. Una delle prove che hanno portato all'arresto di Girgenti è quella della localizzazione dell'auto nella zona in cui avvenne il delitto, per la difesa però l'uomo non avrebbe avuto ragione di utilizzare l'auto per recarsi sul luogo del conflitto a fuoco visto che abitava lì vicino e poteva recarsi a piedi. Sempre secondo la difesa di Girgenti l'auto in quel periodo si trovava dal carrozziere, e inoltre non sarebbe stata univocamente identificata dalle telecamere collocate nei pressi del luogo del delitto, così come i risultati estrapolati dalla scatola nera presenterebbero margini d'errore. La prova madre è quella del tampone fatto sugli indumenti di Girgenti in cui sono state trovate tracce di polvere da sparo. Secondo la difesa però gli indumenti sarebbero stati contaminati. Altra contestazione è quella dell'auto in carrozzeria. Contestazione definita irrilevante dal Gip perché l'auto di Girgenti si trovava in Carozzeria fino al 19 maggio, e l'omicidio si è consumato il 31, inoltre c'è un testimone che ha dichiarato di aver visto l'auto di Girgenti nei pressi della serra una settimana prima del delitto.
Per l'accusa Girgenti si era recato, quella sera, nella serra per trafugare la marijuana coltivata. E non poteva andare a piedi. Sugli spostamenti dell'auto si basa molto delle tesi di accusa e difesa. Se per la difesa le immagini riprese da telecamere a circuito chiuso nella zona la sera del delitto non sono affidabili perché non rendono chiara la targa, per l'accusa sono utili perché riescono a definire il modello e il colore dell'auto, uguale a quella di Girgenti. Ci sono poi i dati della scatola nera, utili per l'accusa per localizzare Girgenti nel luogo e nell'ora del delitto, assieme ai dati del telefono cellulare.

Le prove e le analisi analisi scientifiche - Si basano sullo stub e sui rilievi fatti dal Ris le prove dell'accusa. Per la difesa, invece, ci sono state delle contaminazioni negli indumenti prelevati a Girgenti, e le tracce potrebbero esser state confuse con quelle dei prodotti utilizzati dall'indagato per il suo lavoro di vivaista. Ma per il Gip che ha rigettato la richiesta di scarcerazione si tratta di ipotesi “suggestive e prive di fondamento”. Sulla contaminazione il Gip spiega nella sua istanza che gli indumenti erano stati presi la stessa sera dei fatti da casa dell'indagato e con la stessa cesta messi nel portabagagli dell'auto di servizio della polizia giudiziaria, “dove non vengono poste armi che possano aver contaminato gli stessi” e poi “prelevati dai Ris on le dovute cautele”. In più aggiunge il Gip sposando la tesi dei Ris di Messina che “nessuna analisi per la identificazione di particelle residue di colpi di arma da fuoco condotta mediante le metodologie internazionalmente riconosciute come efficaci può portare a confondere residui dello sparo con particelle contenute in concimi, fertilizzanti di varia natura e prodotti affini”. La difesa ha sostenuto che una sola particella di polvere da sparo non è sufficiente per sospettarlo di omicidio e quindi di lasciare in carcere Girgenti.

Forti lascia la difesa di Girgenti   - A difendere Girgenti fino a qualche mese fa è stato l’avvocato Vincenzo Forti, che ha lasciato il suo incarico dopo che lo stesso Girgenti dal carcere gli ha fatto sapere, tramite una persona a lui molto vicina, che, sarebbe stato corrotto dall’Arma dei carabinieri al fine di rendere il suo processo una finzione scenica. Girgenti è difeso dall’avvocato mazarese Genny Pisciotta. E’ quest’ultima, adesso, ad assistere il presunto omicida. Davanti al gup di Marsala si sono costituiti parte civile la moglie di Silvio Mirarchi, Antonella Pizzo e i due figli, il fratello Romeo Mirarchi, la madre Ida Bagnato e la sorella Giulietta Mirarchi, e l’appuntato Cammarata.