di Katia Regina. Giacomo ama le storie e le sa raccontare. E per questo ha avuto importanti riconoscimenti, la sua storia professionale è su Wikipedia e non intendo fare un copia e incolla ritoccato qua e là, per dissimulare d’aver preso la scorciatoia più battuta. Preferisco raccontavi di un Giacomo che lì non trovate.
Quello che quando ride di gusto lo fa con tutto il corpo, che quando comincia a parlare non si ferma più. Ma anche quello che ascolta attento l’interlocutore, riflette un istante prima di rispondere… conosce il peso delle parole perché sono le sue compagne fedeli. Ma questa divinazione per la parola scritta colpisce tanti lettori voraci, e non è vero che si scrive perché si è letto tanto. Questo teorema non si può applicare alla scrittura, i lettori sono giudici severi e riconoscono dall’incipit lo scrittore sincero seppur dentro la finzione. Senza manierismi, scrive da lettore ancor prima che da scrittore.
Giacomo Pilati è vero, semplice e diretto. Irrompe senza inutili virtuosismi, perché la vita la racconti con parole chiare e tutto il resto è fuffa. La lettura del suo romanzo è un esercizio mnestico anche per il lettore. E vai a fermare i circuiti cerebrali! Non si può. Puoi fingere di essere distratto, non dargli ascolto, ma questi corrono veloci in cerca d’appigli, similitudini. Frugano lesti dentro le ante socchiuse, da qualche parte sanno che c’è qualcosa di simile, quell’emozione già provata, appesa come quei vestiti che non si riesce a dar via neanche quando non ci stai più dentro. È quanto accade a tutti, anche per i ricordi tristi, a volte brutti. Il suo romanzo mi ha riportato dentro Baaria girato a Trapani, e poi il Dizionario delle cose perdute di Guccini, ed infine mi ha riportato a casa, nella mia terra.
Le emozioni Giacomo Pilati le numera, senza chiamarle. Non le cristallizza in una sola parola, apre tutte le ante del suo personale armadio e ce le mostra, seguendo solo il ritmo del tempo. E dopo tante storie d’altri ora è toccato a lui. E mi chiedo cos’altro potrà scrivere ancora, dopo aver fatto i conti con quel bambino curioso diventato ragazzo e poi uomo e padre senza mai aver cessato d’essere figlio.
Lui dice di avere già una storia in testa, e se questa è come quelle che ha già raccontato, prima della sua, allora presto mi toccherà chiedergli una dedica durante la presentazione, tornare a casa e rintracciare i suoi libri, sparsi qua e là nella mia libreria, ricongiungerli in un piccolo settore tutto suo.