Luigi Genovese è solo il quarto tra i deputati regionali neo eletti all'Ars che finisce indagato. Vediamo rapidamente a che punto sono le indagini sugli altri.
TAMAJO. E' al centro di un’inchiesta della Procura di Palermo, per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale Edy Tamajo, il terzo candidato più votato alle regionali del 5 novembre. Ad inguaiarlo i fratelli Cristian e Nicolina D’Alia, le due persone che erano intercettate nell’ambito di un’altra indagine e parlavano disinvoltamente al telefono, dicendosi reciprocamente di poter vendere i voti in favore del candidato di Sicilia Futura, al prezzo di 25 euro ciascuno. I militari stavano indagando su un gruppo di presunti contrabbandieri di Brancaccio, è emersa una compravendita di voti. Tamajo non c’è in quei dialoghi, ma è lui il candidato che i galoppini sponsorizzano.
È il 20 ottobre 2017, ore 20.42, una tale Nicolina D’Alia telefona al fratello Cristian: «Ti volevo chiedere una cosa - gli dice - per il fatto delle votazioni». E lo informa della sua campagna elettorale: «Gliel’ho detto a Tommaso, a sua moglie, hanno detto, “noi glielo diamo il voto, problemi non ne abbiamo”». E ancora: «Gli ho detto vedete che siamo pagati, “ah va bene meglio”». Il fratello lo informa sulle cose da fare: «Ti devi fare lasciare le tessere elettorali... si devono prendere solo il codice che poi loro verificano se hanno votato». Il pagamento sarebbe stato assicurato, così diceva Cristian D’Alia: «Può passare assai assai una settimana, poi gli danno i venticinque euro». E invitava alla riservatezza: «Basta che però, tanto per dire, non si sparge la voce perché sono cose sempre comprate, hai capito?». Nicolina D’Alia aveva già provveduto a prenotare un piccolo pacchetto di voti: quattro. «E sono cento euro», diceva Cristian.
«L’unica cosa che emerge con assoluta certezza è che Tamajo non conosce e non ha mai avuto alcun rapporto con i soggetti indicati quali suoi correi - dicono gli avvocati Giovanni Castronovo e Nino Caleca - Dalle poche intercettazioni si desumerebbe solo una fantomatica promessa di 25 euro sbandierata senza alcuna riservatezza in cambio di una decina di voti e che avrebbe dovuto essere onorata solo dopo le elezioni. Ciò appare decisamente poco credibile».
DE LUCA. «La procura di Messina va avanti? Ma noi siamo già oltre!». Cateno De Luca, deputato regionale, scrive così sul suo profilo Facebook commentando la notizia della chiusura delle indagini da parte della Procura per l’inchiesta sulla presunta evasione fiscale relativa all’attività del Caf Fenapi.
L’atto di conclusione delle indagini arriva a poca distanza dalla decisione del gip Carmine De Rose, che lunedì scorso ha rimesso in libertà Cateno De Luca e l’ex presidente della Fenapi Carmelo Satta, anche lui finito agli arresti domiciliari perché coinvolto nell’inchiesta con l’ipotesi di associazione finalizzata all’evasione fiscale di circa 1.750.000 euro.
Nel frattempo si è registrato un altro passaggio perché è anche arrivata una sentenza della Commissione provinciale tributaria, che ha accolto in parte i ricorsi presentati, «oltre il 50% dei costi – aveva detto De Luca in un video sui social - la Commissione provinciale tributaria li ha riconosciuti inerenti cioè legittimi».
CASTRO. La Polizia in queste ore ha già svolto «primi accertamenti» sul caso di presunta compravendita di voti che vede coinvolto Antonio Castro, candidato – non eletto – di Forza Italia alle Regionali del 5 novembre e consigliere al Comune di Acireale. In un video, una donna riferisce di avere ricevuto un’offerta di 50 euro in cambio della preferenza per Castro e mostra un filmato da lei prodotto in cui riceve effettivamente la cifra pattuita. La stessa donna, che rischia l’iscrizione nel registro degli indagati come complice del reato, ha inoltre esibito i messaggi su Whatsapp inviati al suo cellulare da una «procacciatrice di voti».
Il consigliere comunale quarantasettenne, che ha ottenuto alle Regionali 1437 consensi personali risultando quintultimo nella lista presentata dagli “azzurri” nel collegio di Catania, ha già smentito ogni coinvolgimento nella vicenda. Il difensore di Antonio Castro, il penalista Giampiero Torrisi, ha invece diffuso ieri una nota per «escludere immediatamente e categoricamente la sussistenza di qualsivoglia condotta direttamente o indirettamente riconducibile a voto di scambio in occasione della recente campagna elettorale». «Quanto affermato nel servizio televisivo neppure minimamente risponde al vero», si legge nel comunicato.
L’avvocato Torrisi nega che il suo cliente abbia ricevuto alcun atto relativo all’apertura di un procedimento giudiziario e annuncia che sta valutando «ogni azione finalizzata alla tutela dell’onorabilità di Antonio Castro». Intanto, «ribadisce con forza l’auspicio che la Procura di Catania, alla quale sinora non ci siamo potuti rivolgere per mancanza di elementi concreti, acquisisca al più presto tutti gli elementi relativi a tale confusa vicenda e li valuti con il massimo rigore». «Fin d’ora, tuttavia, si deve stigmatizzare – conclude il legale – un modello di informazione aggressivo e scandalistico che, in spregio di ogni doverosa presunzione di innocenza e delle basilari regole di correttezza, emette sentenze mediatiche inappellabili».