Fabio Tortorici, Presidente Fondazione Centro Studi CNG: per scongiurare una crisi idrica bisogna evitare gli sprechi e investire maggiori somme per evitare invasi colabrodo
“Le precipitazioni piovose in media ridotte rispetto agli anni passati, che sono state registrate negli ultimi mesi, hanno messo in crisi il sistema di ricarica dei corpi idrici superficiali. Si proviene da un 2017 torrido, che dai mesi di giugno fino a settembre, ha creato disagi all’agricoltura, agli allevatori e ha messo in crisi la distribuzione delle reti acquedottistiche”. Lo afferma Fabio Tortorici, Presidente della Fondazione Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Geologi in occasione dello stato di emergenza per la crisi idrica proclamato dalla Regione Sicilia.
“Da tempo i geologi lanciano il loro grido di allarme, per mitigare il fenomeno della desertificazione di parte del nostro territorio – denuncia il geologo siciliano – affinché si mettano in atto misure di contrasto alla siccità. Se non si intraprenderanno azioni urgenti di tutela delle nostre riserve idriche, tra pochi anni rischieremo il collasso. L’assessorato Regionale dell’Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità, con la dichiarazione dello stato di calamità e dello stato di emergenza, non può risolvere il problema, ma può – tramite i sistemi di interconnessione tra cui gli acquedotti – dirottare con soluzioni temporanee le acque verso le aree servite dagli invasi più carenti di dotazione (Blufi, Fanaco), da quelli con meno criticità (Ancipa)”.
Per il Presidente della Fondazione Centro Studi CNG, per evitare una crisi idrica si deve agire su tre fronti: è necessaria una veloce e indifferibile rivisitazione delle norme che regolano la concessione e lo sfruttamento delle acque superficiali e sotterranee poiché il Testo Unico in vigore risale al lontano 1933 e non è quindi più aderente alle richieste della società moderna; dovremmo avere una misura puntuale delle nostre reali esigenze, degli eccessi e degli sprechi con cui la preziosa risorsa viene sottratta dalle falde, alterandone gli equilibri. Non disponiamo, infatti, di dati certi sulla vera disponibilità delle riserve idriche sotterranee e sugli effettivi deficit irrigui e potabili, tenuto conto dei prelievi praticati da opere abusive e dei dati poco aggiornati. Bisogna inoltre investire maggiori somme per risolvere il problema delle reti (sia irrigue che ad uso potabile) e degli invasi colabrodo: in parecchi Comuni siciliani si registrano ancora negli acquedotti perdite superiori al 60%, con casi in cui l’acqua esce dai rubinetti un paio di ore la settimana.
“L’anno scorso si parlava di realizzare nuovi invasi, quest’anno si parla di dissalatori, – conclude Tortorici -, ma nessuno vuole prendere coscienza del fatto che la Sicilia possiede dei bacini idrogeologici che poco risentono dei periodi di siccità e sono potenzialmente in grado di soddisfare le nostre esigenze, peraltro con impegni economici sostenibili e tempi per la realizzazione di nuovi pozzi molto più contenuti rispetto ad altre opere faraoniche. Il problema della siccità in Sicilia, e nella nostra nazione, non finirà nemmeno con finanziamenti a pioggia: ci vuole necessariamente un approccio geologico-tecnico”.