Il compito dell’attore dovrebbe essere quello di fare tornare a casa lo spettatore con una nuova domanda, un tormento, qualcosa su cui riflettere. Lo ha detto lo stesso Enzo Iacchetti a chiusura di spettacolo.
Soprattutto se lo spettacolo che promette non è puro divertissement, ma attraversa temi profondi, come l’amore, la fede, la fratellanza… Lo spunto per riflettere è stato dunque fornito dallo stesso attore, in scena per un’ora e quaranta minuti, un autogol, se vogliamo. Sì perché la domanda che molti spettatori si sono portati a casa è stata: ma questo spettacolo mi è piaciuto o no?
A tratti è stato divertente, qualche suggestione scenica ha fatto sobbalzare dalla poltrona molti spettatori. Qualcosa però è mancata, la promessa non è stata mantenuta fino in fondo. Lenta, la prima parte dello spettacolo, farcita di cliché troppo facili… la lettera cantata ai Giusti, Falcone, Borsellino, Peppino Impastato… immagini di distruzione e dolore con l’immancabile attacco alle Torri Gemelle. La richiesta di spiegazioni a Dio, rispetto alle brutture del mondo.
Argomenti forti, si diceva, e proprio per questo, se ci si avventura, bisognerebbe avere qualcosa da aggiungere al già sentito, qualcosa di altrettanto forte. La vera natura dell’artista Iacchetti si esplicita nell’intrattenimento, e nella seconda parte dello spettacolo non ha tradito, se vogliamo, le sue capacità. Un po’ di satira di costume, qualche paradosso, diverse canzoni per giungere ad un finale che appare un po’ posticcio. Probabilmente aggiunto alla pièce teatrale dopo la critica di Aldo Grasso su la Repubblica, una stroncatura pesante, che Iacchetti non ha digerito.
In questo modo però si frantumano tutti i buoni propositi fino a quel momento decantati, mostrano l’uomo nudo, la sua vera natura imperfetta e umana… troppo umana. Quello che siamo tutti, nessuno escluso. Una citofonata stridente, in questo caso, che l’artista poteva risparmiarsi e risparmiarci.
Una sala semivuota al teatro Impero, poco più di duecento spettatori, un dettaglio che non sfugge allo stesso Iacchetti che esorcizza con la battuta più riuscita della serata: siete pochini, se me lo dicevate prima venivo io a casa vostra. Che ne sa il povero Iacchetti del dramma che si sta consumando in questa città, proprio per l’assenza di pubblico a teatro. Non poteva saperlo e con quella battuta è riuscito a mettere d’accordo tutti in questa città, anche quanti sono andati all’Impero per certificare l’ennesimo flop di pubblico.
È riuscito a fare ridere gli amministratori presenti, certo una risata con un retrogusto amaro per loro, eppure è stato bello, anche solo per pochi istanti, sentire tutti ridere… per azzuffarsi aspettiamo domani.