In quasi due ore, fra monologo dal palco e interviste, c’è molto di detto. Eppure, spegnendo la prima candelina del suo governo, Nello Musumeci lancia anche alcuni messaggi fra le righe. Nel non detto. O nel soltanto accennato. «È stato difficile, ma esaltante. L’anno più bello della mia vita. Sono soddisfatto ma non appagato. Dobbiamo fare di più, in tutti i settori ma in alcuni in particolare», è uno dei primi passaggi in cui il governatore fa capire che c’è qualcosa che non va. Il concetto diventa più esplicito nel colloquio con i giornalisti che gli chiedono a quasi settori si riferisca la sua insoddisfazione: «Soprattutto lavoro, famiglia, sport e funzione pubblica», risponde. Mettendo a nudo soltanto una parte dell’insofferenza per il lavoro di alcuni assessori e di alcuni dirigenti. Giunta e burocrazia tirate in ballo in un altro ragionamento: «Questa è la risorsa umana di cui disponiamo... abbiamo fatto tutto quello che poteva essere fatto. Tenete conto che la dirigenza era abituata a ben altre marce e che abbiamo 10 assessori su 12 che non l’avevano mai fatto, così come il 60% dei dirigenti nuovi».
Ecco, proprio questo è il punto. Che s’incrocia con due elementi diversi eppure convergenti. Il primo è l’accusa che più di tutte fa imbufalire Musumeci: la lentocrazia. E qui il governatore, lungi dal sentirsi in colpa, ai suoi fornisce una chiave di lettura basata sul deficit di comunicazione, oltre che alla responsabilità personali di alcuni assessori e dirigenti. La strategia? In parte è auto assolutoria: «Quando la gente dice “fiducia nel presidente Musumeci, però vorremmo capire cosa hanno fatto” è la dimostrazione di come negli ultimi 20 anni la gente si sia lasciata ubriacare da titoli in prima pagina e finte rivoluzioni, da promesse puntualmente disattese». Per il resto c’è una prima “ammonizione” a chi sta facendo un lavoro che non lo soddisfa. E il giudizio personale s’intreccia con i documenti portati in commissione Bilancio dell’Ars da molti dipartimenti che non sono riusciti a spendere i soldi disponibili. Dietro la lavagna, più di tutti gli altri, c’è l’assessore alla Famiglia e Politiche sociali, l’autonomista Mariella Ippolito.
«Il presidente è scontento del suo lavoro», dicono da Palazzo d’Orléans confermando un certo malessere per la farmacista di Caltanissetta, nel mirino delle opposizioni per i fondi non spesi su disabili e reddito d’inclusione. Musumeci vuole darle altro tempo, ma potrebbe essere proprio il dante causa dell’assessore (Raffaele Lombardo o chi ne fa le veci) a chiedere un’accelerazione dell’uscita, anche per piazzare in quella postazione un uomo - come ad esempio l’ex senatore Mpa Antonio Scavone - più esperto e soprattutto elettoralmente redditizio. Per questo non è detto che il passaggio di testimone non possa avvenire prima delle Europee. E magari con lei potrebbe fare le valigie anche il dirigente Salvatore Giglione, uno degli alti burocrati fuori dal pantheon del governatore che sta rivalutando, dopo iniziali diffidenze, Salvatore Lizzio (Dipartimento tecnico), mentre comincia a serpeggiare qualche perplessità sul ragioniere generale Giovanni Bologna, comunque intoccabile anche perché difeso da Gaetano Armao.
Musumeci, oltre a escludere ribaltoni, non vorrebbe nemmeno mettere mano a un rimpasto. Almeno prima del voto di maggio. Perché magari dopo saranno i risultati a renderlo naturale, cambiando equilibri interni al centrodestra già anacronistici rispetto al valore delle singole forze. E così, oltre all’ingresso della Lega in giunta, l’eventuale sgonfiamento elettorale di alcuni alleati potrebbe fare proprio il gioco di Musumeci. Non proprio entusiasta, dicono, del lavoro di Edy Bandiera e Bernardette Grasso (difesi a spada tratta da gran parte di Forza Italia) e perplesso, al di là delle note ufficiali, sulle vicende giudiziarie di Mimmo Turano, assessore dell’Udc in un settore ad alto tassi di “montantizzazione” come le Attività produttive. Rimandato a settembre, nella pagella segreta del presidente, anche Sandro Pappalardo: potrebbe fare di più.
E nelle slide, oltre ai risultati, c’è anche la bozza di ciò che Musumeci vuole fare a breve-media scadenza: «La nostra stagione delle riforme comprende 10-12 disegni legge, perché i non servono per fare statistica ma per ammodernare la macchina della Regione. In programma ne abbiamo altri 5 più o meno tra il 2019 e il 2020». Ma prima di mettere mano alla stagione delle riforme, magari con il terzo “ritiro spirituale” (forse fra Natale e Capodanno) all’orizzonte c’è già il primo Vietnam all’Ars. Martedì, sulle variazioni di bilancio: fra mal di pancia nel centrodestra e opposizioni in trincea. Si vocifera anche di una clamorosa protesta trasversale dei sindaci dei Comuni in dissesto: con le fasce tricolori, a Sala d’Ercole. Per dire: «Perché i soldi solo a Catania e a noi niente?».