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20/01/2019 09:11:00

Il ritorno in campo di Silvio Berlusconi

 Silvio Berlusconi chiude così la sua carriera politica: si candida alle elezioni europee del prossimo maggio.

Forza Italia è il presidente e viceversa, non è immaginabile un partito senza il suo leader carismatico, senza il suo fondatore.

Ottantadue anni e presenza massiccia, con una colpa: quella di non riuscire a trovare il suo erede, senza la presenza di Berlusconi Forza Italia è destinata a morire.

Le sue percentuali, intorno all’8%, sono risicate, l’emorragia subita ha infoltito le fila della Lega, del ducesco Matteo Salvini.

Il Cavaliere si candida contro i Cinque Stelle che indica incapaci e incompetenti, nulla dice però riguardo alla Lega.
Forza Italia vive l’opposizione al governo giallo-verde in maniera ambigua, ferro e fuoco contro i grillini, pacche sulla spalla per Matteo Salvini.
Una posizione che non è stata gradita a molti, che hanno deciso di avere ruoli di primo piano proprio con i leghisti.
La mossa di Berlusconi potrebbe rilanciare Forza Italia, si candida da capolista in tutte cinque le circoscrizioni, si riprende la scena, lo ha fatto dal 1994 ad oggi.
E’ stato il premier mondiale che ha partecipato a 3 G8, l’unico, in Italia è stato quattro volte presidente del consiglio.
Osteggiato e non voluto, disprezzato e calunniato, da quella parte di sinistra, che dopo anni è ancora in cerca di un leader, tirando in ballo i conflitti di interessi.
Berlusconi c’è, nonostante l’età, e incornicia così la sua carriera politica, insegnando a chi non ha saputo farlo come si diventa leader.
Si è parlato di partito azienda, di un partito che si personifica unicamente in Berlusconi. Forza Italia non è mai stata una azienda, ha avuto e ha un leader, insieme hanno creduto in un Paese liberale.
Sui territori i vari punti di riferimento hanno portato avanti la politica, senza correnti, della linea nazionale del partito.
E’ questo che ha contraddistinto i forzisti dal Pd, le faide interne hanno avuto la durata di un sospiro.
Ecco perché non si può immaginare una Forza Italia senza Berlusconi, e non si può nemmeno immaginare che tutti gli azzurri diventino leghisti.
L’alternativa al momento non c’è, non la si vede.
Il Partito Democratico continua a litigare su chi debba guidare un partito che è scomparso dai territori, non comprendendo che quella sigla e chiunque sarà vicino a quella bandiera verrà inesorabilmente travolto.
L’Italia non ci crede più, non li vuole più: non li vota.
In tutto questo vuoto di grandi praterie da percorrere nessuno ha compreso che c’è bisogno di un contenitore nuovo, con simbolo, nome e bandiera che rilanci la politica vera, quella dei moderati di destra e di sinistra, che non sono in estinzione.
E invece si annaspa, mentre Salvini in conferenza stampa annuncia non solo la fine di questa legislatura ma anche il proseguo dell’accordo con i Cinque Stelle per altri anni ancora. Di contratto in contratto, finché accordo non li separi.
Unione bislacca ma che potrebbe ripetersi da laboratorio sui territori, gli altri partiti ne uscirebbero sconfitti.
Non c’è, oggi, la piena lucidità di capire che non si può soffiare su un vento che non alita può, per rinnovare bisogna farlo con una classe dirigente nuova, che non sia inflazionata, che sia carismatica e non appiattita su posizioni interne, che sia pronta a lavorare ad escludendum e che non lavori dietro le quinte alla distruzione del nemico interno. Diciamolo, il Pd ha una grande pecca: combatte i propri tesserati, una guerra continua, uno stillicidio.

Il Pd è questo che sta facendo, in Sicilia come altrove.

I candidati alle primarie nazionali dei dem sono privi di ogni carisma, di ogni radicamento sul territorio. L’unico che potrebbe irrompere in questo malmesso scenario è Nicola Zingaretti, che però rappresenta i notabili del partito, quelli che ci sono stati e ci sono e che hanno prodotto solo scintille, nessun fuoco che arde.

Hanno passato il tempo a fare la guerra a Matteo Renzi, che rappresenta l’unica vera alternativa nazionale al populismo imperante, il moderato che potrebbe essere leader indiscusso di un nuovo contenitore che guarda ai reali problemi del Paese e li affronta, a volte ci riesce altre volte no, giovane e non arrogante come qualcuno lo ha voluto rappresentare, semmai non timoroso di dire le cose come stanno: senza filtri.
Gli hanno fatto la guerra, non gli altri, i suoi del partito. Una guerra priva di senso, il fallimento è stato di tutti, nessuno escluso. C’è un partito senza leader, senza prospettive, senza una guida e senza avere chiaro che gli elettori non ci sono.
Silvio Berlusconi ha capito che il suo partito potrebbe essere travolto dalle elezioni europee, scende in campo da capolista ancora una volta, è lui che trascina gli azzurri, è lui che potrà andare alla conta e non essere travolto dai numeri crescenti della Lega. E’ sempre lo stesso Berlusconi, che non ha saputo costruire una classe dirigente adeguata, pensava che il tempo non finisse mai, che si è circondato di gente sanguisuga e che adesso corre ai ripari: è troppo tardi.
Il sogno si infrangerà all’indomani delle europee, il tempo del brindisi, poi si tornerà a contare le percentuali italiane. I forzisti, quelli giovani, si sono guardati attorno, hanno deciso di percorrere altre strade.
Con le elezioni di maggio si chiude il sipario dell’era Berlusconi, dopo 25 anni.


Piaccia o meno è Matteo Salvini che ha ereditato quel pezzo di destra che nulla ha a che fare con Forza Italia e con i moderati, e sarà sempre Salvini a guidare per tanti anni ancora il suo partito.

Rossana Titone