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25/01/2019 06:00:00

Mafia, Leandro Greco e Calogero Lo Piccolo i boss arrivati ai vertici della "nuova cupola"

Nonni, padri e figli. Un legame di sangue e d’intenti. Una storia, quella di Cosa nostra, che si rinnova ma che rimane allo stesso tempo legata alle sue famiglie storiche. Dice questo l’ultima operazione antimafia a Palermo che ha portato in carcere Leandro “Michele” Greco, 28enne nipote di Michele Greco, “il papa”, morto da ergastolano nel 2008 e Calogero Lo Piccolo, 46 anni, figlio di Salvatore, erede di Provenzano, arrestato nel 2007 insieme all’altro figlio Sandro.

All’ultima operazione antimafia che è il completamento di quella di dicembre, “Cupola 2.0”, che porto all'arresto di 46 persone e all'azzeramento della "nuova cupola", hanno contribuito due pentiti arrestati proprio il 4 dicembre scorso, Francesco Colletti di 49 anni e Filippo Bisconti di 58, presunti componenti della nuova Cupola. Due capi mandamenti, non due picciotti, Colletti, capo di Villabate e Bisconti, boss di Belmonte Mezzagno, che a due settimane dall’arresto hanno deciso di collaborare con gli investigatori.
Di Leandro Greco, Colletti dice che «è un ragazzino anche se c’ha un vecchio dentro... Non parla male, e il cervello ce l’ha... ho sempre pensato che si era messo in testa che doveva essere capo di questa commissione”.

I nuovi boss – Nentre nella tenuta di Favarella di Michele Greco si riunivano tutti i capi della vecchia commissione di Cosa nostra, ora il nipote era uno degli artefici della ricostituzione dell’organismo che non si riuniva dalla cattura di Totò Riina. Leandro detto Michele, incensurato, residente a Ciaculli e ufficialmente senza lavoro sarebbe diventato capo del mandamento di Ciaculli-Brancaccio almeno 5 anni fa, quando aveva appena 23 anni. Boss del mandamento San Lorenzo-Tommaso Natale, sarebbe diventato Calogero Lo Piccolo, tornato a Palermo dopo due condanne per mafia e una sorveglianza speciale ad Alghero. Lo Piccolo è comparso a più riprese in indagini di mafia, con ruoli minori rispetto a quello del padre, boss indiscusso di San Lorenzo e per un periodo di tutta Cosa nostra palermitana, e del fratello Sandro, condannato all’ergastolo per vari omicidi. Appena uscito dal carcere Calogero Lo Piccolo a ricominciato a «mafiare» incontrando Leandro Greco e partecipando, tra le tante, alla riunione della commissione del 29 maggio dello scorso anno in una casa di Baida.

Gli altri boss arrestati – Non sono certo di minor spessore gli altri cinque boss fermati. Giovanni Sirchia, 45 anni, capo famiglia di Passo di Rigano, l’uomo che ha organizzato, il summit della commissione a maggio. Un gradino più sotto gli altri fermati: Erasmo Lo Bello, 62 anni, considerato il capo famiglia di Capaci e Isola delle Femmine; il costruttore Pietro Lo Sicco, 70 anni, coinvolto in indagini di mafia e infine Giuseppe Serio, 40 anni e Carmelo Cacocciola, 65 anni. Rispondono a vario titolo di associazione mafiosa ed estorsioni. Avrebbero imposto il pizzo ad imprenditori edili ma anche a ristoratori della zona di Sferracavallo e Isola delle Femmine. Questi ultimi sarebbero stati obbligati a rifornirsi di pesce congelato dalla rivendita di Serio.

I due boss neo pentiti - Due nomi certamente non nuovi per i magistrati, quelli di Colletti e di Bisconti. Il primo era già stato arrestato nel 2005 e poi condannato per mafia. Nel 2015, tornato libero, aveva ripreso la guida del mandamento di Villabate-Bagheria, spostando il baricentro proprio nel primo comune e riuscendo a restare al suo posto anche dopo la scarcerazione di personaggi di spicco, come il boss Pino Scaduto. Bisconti, invece, ha ammesso lui stesso di essere stato ritualmente affiliato a Cosa nostra alla fine del 1997 e di essere stato «combinato» da Benedetto Spera, Giuseppe Spera e Nicola La Barbera. Ha raccontato di aver incontrato almeno in un’occasione il boss Bernardo Provenzano e di aver diretto il mandamento di Belmonte Mezzagno negli ultimi quattro anni, in cogestione con Salvatore Sciarabba. Colletti era il personaggio chiave dell’operazione «Cupola 2.0» perché era dalle sue conversazioni con il suo autista che gli investigatori avevano capito che si era tenuta una riunione cruciale tra boss. Non sapevano però dove e precisamente chi vi avesse partecipato: in mano avevano molti dati legati ai tabulati telefonici di diversi mafiosi che quel 29 maggio convergevano verso le stesse celle. Non a caso dunque adesso le dichiarazioni di Colletti - che a quella riunione per ricostituire la Cupola c’era - vengono definite «di formidabile rilevanza, avuto riguardo per la vicenda umana del soggetto, ormai da decenni coinvolto ai massimi livelli nelle dinamiche criminose di tipo mafioso», ed essendo l’aspirante pentito «una fonte estremamente qualificata».

La riunione della commissione e i primi contrasti - Colletti e Bisconti hanno confermato la ricostruzione degli inquirenti sul summit del 29 maggio. Fornendo nuovi particolari. I partecipanti furono: Gregorio Di Giovanni «Palermo centro»; Filippo Mineo per Pagliarelli; Leandro Greco per Ciaculli-Brancaccio; Calogero Lo Piccolo per San Lorenzo e lo stesso Francesco Colletti per Villabate. Mancava Bisconti, anche se invitato non si presentò all’incontro per dei contrasti con i boss palermitani che preferivano non far partecipare i capi mandamenti della provincia, per cercare di emarginarli e orientare la commissione in chiave «palermocentrica». Un progetto che a Bisconti, capo di Belmonte non piacque e per questo non si presentò alla casa di Baida.

Il secondo summit  - Tra giugno e luglio 2018, tutti i capi, ad eccezione di Mineo e Lo Piccolo, si incontrarono in un locale a due passi da piazza Magione. E questa volta Bisconti c’era, accompagnato dal boss di Belmonte Mezzagno, Salvatore Sciarrabba. Presenti Leandro, Greco; Gregorio Di Giovanni, ma Bisconti su questo particolare non è certo. Però l’argomento del summit sembra ricordarlo bene. «Si pose il problema di non fare riunioni troppo allargate - racconta il neo collaboratore -. Ad esempio si disse che Santa Maria di Gesù doveva essere rappresentata da Di Giovanni o da Michele Greco che aveva la pretesa che alle riunioni non partecipassero i mandamenti dei “paesi”. I capi si lasciarono con l’impegno di rivedersi a breve in un incontro organizzato da Settimo Mineo, incontro che non si è più realizzato perché sono stati tutti arrestati.

Il Procuratore Lo Voi - «Qualcuno ha parlato di "mezza Cupola", di "cupoletta", ma le indagini hanno dimostrato che non si trattava di qualche vecchietto tornato in azione, bensì della ricostituzione della Commissione provinciale di Cosa nostra ad opera di soggetti di alto livello mafioso. Dato questo confermato dai personaggi fermati che vantano un lignaggio mafioso di rilievo». Sono le parole del procuratore di Palermo Francesco Lo Voi a commento del blitz che ha portato in carcere sette persone tra cui Leandro Greco e Calogero Lo Piccolo. «Le collaborazioni dei due capi mandamento, Francesco Colletti e Filippo Bisconti, a ben guardare, proprio perché hanno rivestito cariche importanti, subìto condanne e sono stati in carcere, testimoniano il fallimento di un progetto, del piano della ricostituzione della commissione provinciale che è fallito». Per il procuratore «è questa la ragione per cui decidono di collaborare. Il fallimento che causa anche l’assenza di una prospettiva, di un futuro. Questa assenza di futuro dovrebbe essere compreso anche da tutti gli altri che ancora fanno parte di Cosa nostra». Lo Voi ha evidenziato che «il numero dei fermati non è rilevante, ma lo è dal punto di vista qualitativo. Il primo punto da sottolineare è che come forse mai accaduto abbiamo avuto, nel giro di un mese rispetto al provvedimento del 4 dicembre, l’avvio di due nuove collaborazioni con la giustizia. Non si tratta di collaboratori provenienti dall’area della manovalanza, ma di due personaggi di vertice, già oggetto di indagini e che hanno subito provvedimenti di carcerazione. È un dato importante perché conferma la correttezza dell’impostazione di quel provvedimento e lo arricchisce di ulteriori elementi»..