Vincenzo Calcara “può certamente dare un notevole contributo all'accertamento della verità anche in merito alla strage di via D'Amelio”. E’ quanto scrive l’avvocato marsalese Antonio Consentino nella richiesta di audizione avanzata ai magistrati nisseni per conto del pentito castelvetranese, che controfirma la nota del suo legale.
Calcara chiede di essere ascoltato nel processo che per la strage di via D’Amelio, a Palermo, vede imputato il boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro. Oltre che alla Corte d’Assise, il pentito castelvetranese (che nel 1991 disse al procuratore Paolo Borsellino di avere ricevuto da Francesco Messina Denaro l’incarico di ucciderlo) rivolge analoga richiesta anche al procuratore della repubblica presso il Tribunale nisseno, dove è in corso il processo che per il “depistaggio” seguito all’attentato in cui, il 19 luglio 1992, morirono il procuratore Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta, vede imputati i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia con l’aggravante di aver favorito Cosa Nostra.
“Vincenzo Calcara – scrive l’avvocato Consentino - era l’uomo "riservato" della famiglia Messina Denaro di Castelvetrano, cui era stato affidato il compito di uccidere il giudice Paolo Borsellino quando questi era Procuratore capo a Marsala. Calcara ha sempre raccontato tutto quello che accadeva negli anni 90 nelle famiglie mafiose, in particolare in quella di Trapani. Ha raccontato di quanto la mafia fosse cambiata dalle dichiarazioni di Buscetta, ha parlato di “super commissioni”, una sorta di Conclave formata da diverse rappresentanze, non solo mafiose, ma anche ecclesiastiche e ‘statali’. Ha raccontato citando nomi e circostanze inconfutabili. Oggi il suo lavoro continua con il fratello del giudice Paolo Borsellino, Salvatore”. L’avvocato Consentino prosegue affermando che nelle motivazioni di diversi processi “è dimostrata la piena attendibilità di Calcara nonostante i numerosi tentativi di screditarlo”. Calcara, adesso, chiede di essere ascoltato per evitare il “rischio” di “assistere ad un nuovo gravissimo depistaggio che potrebbe delinearsi a seguito delle dichiarazioni di altri pentiti”.