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31/05/2019 08:25:00

Mafia – Avviato processo a presunto boss mafioso di Mazara Matteo Tamburello

Arrestato lo scorso 11 dicembre nell’operazione “Eris”, è arrivato il momento del processo per il 56enne presunto boss mafioso mazarese Matteo Tamburello. Le accuse sono: associazione mafiosa e violazione delle misure di prevenzione.

Nel lasso di tempo tra l’arresto e il giudizio, infatti, l’avvocato difensore Luigi Pipitone è riuscito a far cadere l’accusa di intestazione fittizia di beni. Il processo è stato avviato davanti il Tribunale di Marsala con l’ammissione delle prove portate da accusa e difesa.

Il 13 giugno verrà conferito l’incarico al perito che dovrà trascrivere le intercettazioni. Poi, in aula saranno ascoltati gli investigatori. Nell’operazione “Eris”, a seguito delle perquisizioni effettuate dai carabinieri, furono arrestati, per detenzione illegale di armi, Giovanni Como, fratello di Gaspare, cognato di Matteo Messina Denaro, e l’imprenditore mazarese Diego Vassallo. Detenevano illegalmente due pistole, una Baby Browning calibro 635 con 5 colpi nel caricatore e un revolver calibro 22 con 20 cartucce. Tra le diverse abitazioni perquisite, anche quelle dell’ex deputato regionale socialista Enzo Leone e di Maria Guttadauro, nipote di Messina Denaro. A Matteo Tamburello si contesta di essersi mosso per riorganizzare, insieme al presunto nuovo “reggente” Dario Messina, il mandamento di Mazara. “Le indagini sul mandamento mafioso di Mazara – scrivono i carabinieri del Ros - hanno permesso di individuare la fase riorganizzativa degli assetti di vertice, fornendo importanti elementi sulla sua collocazione baricentrica nelle relazioni criminali nella Sicilia occidentale”. A ricoprire un ruolo di vertice sarebbe stato, secondo l’accusa, dopo la scarcerazione avvenuta nel 2015, proprio Matteo Tamburello, anche se la guida della consorteria era stata affidata a Dario Messina. Tamburello avrebbe, quindi, ricoperto un ruolo di rilievo che lo portava ad intrattenere incontri riservati con esponenti di primo livello dell’organizzazione mafiosa. Tra le sue attività economiche, anche la gestione di una cava di calcarenite, dove figurava come un semplice operaio. Avrebbe voluto, inoltre, investire nel business delle energie alternative e in particolare nell’eolico. C’è, poi, il capitolo del sostegno alle famiglie dei detenuti. Gli inquirenti hanno riscontrato ulteriori elementi a carico di Matteo Tamburello nel corso delle precedenti indagini svolte sull’imprenditore Fabrizio Vinci, ritenuto affiliato alla famiglia di Cosa Nostra di Mazara del Vallo e arrestato per mafia a maggio del 2017 dal R.O.S. nell’ambito della indagine “Visir”. Vinci, secondo quanto emerso aveva sostenuto economicamente Matteo Tamburello quando era detenuto, acquistando da questi un bene strumentale a prezzo, secondo gli inquirenti, fortemente maggiorato. Il legame tra i due, Vinci e Tamburello, non si è mai interrotto e sono stati documentati diversi incontri avvenuti all’interno della cava di calcarenite, di fatto di proprietà del Tamburello. Quando accadde il contrario, e il 10 maggio 2017 Vinci venne arrestato, nel pieno rispetto delle regole mafiose sulla assistenza ai detenuti, Tamburello si interessò immediatamente affinché venisse fornito adeguato sostentamento alla famiglia dell’affiliato. Tamburello incontrava diversi esponenti mafiosi tra i quali Fabrizio Vinci, Antonino Cuttone e Raffaele Urso e lo faceva proprio nella cava che aveva acquisito tramite la sua autorevolezza mafiosa. In quella cava gli inquirenti piazzano cimici e telecamere e durante le indagini, scoprono che una telecamera che hanno piazzato nel terreno in contrada San Nicola Soprano, è stata scoperta e distrutta. Tamburello venne avvisato da Agostino Evola che, a sua volta, lo aveva appreso dal figlio Roberto che l’aveva trovata e poi rotta. Una volta appresa la notizia, Tamburello cerca di risalire al periodo in cui poteva essere stata piazzata e se era lì per lui o per chi altro. Dopo queste domande, si fece accompagnare nella località dove venne ritrovata la telecamera. Sempre dalle intercettazioni, si capisce che Tamburello è nervoso e preoccupato del fatto che qualcuno degli operai della cava, se ascoltati dagli investigatori sulla telecamera, avrebbero potuto dire qualcosa di compromettete. “Mi spavento ancora succede qualche tragedia…”; ma Agostino Evola lo rassicura così: “Qua non ce ne sono cose di tragedie... qui ognuno si fa il suo lavoro e basta”.