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19/06/2019 08:00:00

Processo trattativa, "Dell'Utri fu cerniera tra i clan e il potere dopo il '93"

Marcello Dell'Utri non è colpevole per i fatti avvenuti fino al 1992-‘93: la Corte d'assise lo esclude, ritenendo che non vi fosse «alcuna prova che l'imputato si sia frapposto come intermediario per le stragi e come latore della minaccia allo Stato». A dirlo è il presidente della Corte d'assise d'appello di Palermo, che sta celebrando il processo sulla trattativa Stato-mafia. Angelo Pellino però si limita a riassumere il contenuto della sentenza di primo grado, che il suo collegio dovrà confermare o «riformare».

Dopo cinque udienze il giudice (correlatore del dibattimento, assieme al consigliere a latere Vittorio Anania), completa l'analisi della decisione emessa il 20 aprile del 2018 dall'assise, presieduta da Alfredo Montalto. Il codice prevede infatti che la relazione venga «esposta» senza ovviamente che vengano prese posizioni. E ieri stesso la parola è passata ad Anania, che, data la complessità del materiale (la sola sentenza conta oltre 5.200 pagine), affronta un altro aspetto, gli appelli presentati dai sette imputati condannati, da Giovanni Brusca, che ha avuto la prescrizione ma a cui si è esteso l'appello, e la parte civile Presidenza del Consiglio, che chiede un risarcimento superiore ai 10 milioni che le sono stati assegnati.

Senza dunque anticipare giudizi, Pellino osserva che la colpevolezza del senatore di Forza Italia, che ha avuto 12 anni in primo grado, è limitata al periodo successivo al ‘93, con la discesa in campo di Silvio Berlusconi e con i suoi governi che, secondo sempre i giudici di primo grado, sarebbero stati ricattati e minacciati da Cosa nostra proprio attraverso l'ex delfino del Cavaliere.

La corte d'assise si era basata sulle testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia, soprattutto Nino Giuffrè, perché per motivi diversi, legati a contraddizioni, ricordi tardivi o a una dubbia attendibilità intrinseca, Giovanni Brusca e Salvatore Cancemi vengono utilizzati soltanto per alcune parti e non per l'intera loro deposizione. «Dell'Utri - cita Pellino - non fu intermediario dei governi precedenti a quelli guidati da Berlusconi né li minacciò per ottenere benefici nei confronti degli associati a Cosa nostra. Questo poi lo avrebbe fatto dopo l'avvento di Forza Italia e del suo leader, cioè a partire dai primissimi mesi del 1994». Da allora sarebbe cambiato tutto, il senatore azzurro, che sta scontando 7 anni per concorso esterno, si sarebbe reso disponibile per fare da cerniera con la Seconda Repubblica. E i boss che pressavano a suon di minacce di bombe avrebbero trovato un interlocutore affidabile. Dal loro punto di vista.