Sono andate deluse le attese del pm della Dda Gianluca De Leo che aveva chiesto la testimonianza di Francesco Lo Gerfo, presunto boss mafioso di Misilmeri, nel processo abbreviato, davanti al gup di Palermo Filippo Lo Presti, a otto delle 16 persone coinvolte nell’operazione antimafia “Pionica” del 12 marzo 2018.
Nel processo che vede alla sbarra anche l’imprenditore alcamese Vito Nicastri, il cosiddetto “re dell’eolico”, Lo Gerfo si è avvalso, infatti, della facoltà di non rispondere. Il pm aveva chiesto la sua testimonianza per avere una conferma su quanto riferito dal collaboratore di giustizia Filippo Bisconti che in un verbale (depositato dinanzi al gup Filippo Lo Presti lo scorso 9 luglio) ricostruiva alcune informazioni ricevute da Lo Gerfo (già condannato per mafia) su Nicastri, che recentemente è stato riarrestato nell’ambito dell’inchiesta sulle mazzette alla Regione siciliana, in cui è coinvolto anche il faccendiere Paolo Arata, ex deputato di Forza Italia ora vicino alla Lega (l’inchiesta, com’è noto, ha una tranche romana che riguarda l’ex sottosegretario della Lega Armando Siri, accusato di corruzione).
Nel verbale, Bisconti dichiara: “Mi disse che era in costruzione un parco eolico nelle zone di Marineo, Bolognetta e Villafrati e che aveva ricevuto 60 mila o 80 mila euro tramite mafiosi di Corleone, che a loro volta avevano avuto contatti con altri soggetti mafiosi di Alcamo”. Questi ultimi “si erano occupati direttamente di costruire il parco eolico. A tal proposito (Lo Gerfo, ndr) mi fece il nome di Nicastri, come persona che aveva interessi in detto parco”, ma il collaboratore precisò che “forse per darsi un pò di arie, mi disse che aveva già ricevuto dei soldi, facendomi un preciso riferimento a Nicastri da Alcamo”. Bisconti aveva, inoltre, riferito anche alcune confidenze che gli avrebbero fatto i boss Giovanni Filardo e Franco Luppino (“Nicastri è a disposizione di Cosa Nostra, anche come imprenditore”). Filardo e Luppino, però, non sono stati chiamati a deporre. Probabilmente, perché si suppone che non aprirebbero bocca. Per i personaggi alla sbarra, a fine aprile, il pm De Leo ha invocato condanne per circa sessanta anni di carcere.
Le pene più severe, 12 anni, proprio per Vito Nicastri, accusato di concorso in associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni, nonché per Girolamo Scandariato, di Calatafimi, e Melchiorre Leone, agronomo, di Vita. Nell’abbreviato “Pionica”, è imputato anche il fratello del “re dell’eolico”, Roberto Nicastri, anche lui accusato di concorso in associazione mafiosa. Per lui, il pm ha invocato 10 anni. Come pure per il salemitano Giuseppe Bellitti. Alla sbarra anche i partannesi Antonino, Tommaso e Virgilio Asaro. Per loro, richieste tra un anno e un anno e 4 mesi. L’operazione “Pionica” prende il nome di una contrada di Santa Ninfa dove c’è un’azienda agricola di 60 ettari appartenuta a Giuseppa Salvo comprata a un’asta giudiziaria e poi rivenduta a prezzo maggiorato. Parte civili, oltre all’ex proprietaria dei terreni, anche i Comuni di Salemi e Castelvetrano, le associazioni antiracket di Trapani e Alcamo (la prima con l’avv. Giuseppe Novara), l’associazione Caponnetto, il Centro studi Pio La Torre e l’associazione “La Verità Vive onlus” di Marsala (avv. Peppe Gandolfo). I reati a vari titolo contestati sono associazione mafiosa (per alcuni concorso esterno), estorsione, favoreggiamento e intestazione fittizia di beni. Altri 8 imputati nel Pionica sono, intanto, sotto processo davanti il Tribunale di Marsala.