Anche quest’estate nell’isola situata davanti alla costa marsalese, dall’antico nome di Motya, si intrecciano arte, storia, natura e archeologia.
Già nel 2016 la Fondazione Whitaker aveva ospitato l’installazione di Maria Cristina Finucci, in cui un ammasso di plastiche raccolte negli anni formavano la parola Help (titolo dell’opera), con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione di inquinamento dei mari.
Da qualche giorno Segnacoli, di Alberto Timossi, è stata allestita nella zona sud e sarà visibile fino ad ottobre.
Questa volta la location è il Kothon e al visitatore basterà guardarsi attorno, ancor prima di ricevere notizie sul luogo, per sentirne l’importanza. Da qui si scorgono da un lato la collina di Erice, di fronte la città di Marsala, dall’altro Favignana, la più visitata delle Egadi.
La sensazione immediata è quella di trovarsi in un punto cardine, all’interno di un’immaginaria rete di energie e di destinazioni, in un ambiente archeologico che tutela l’antico e, al contempo, guarda alla civiltà contemporanea, nel bel mezzo del panta rei dell’acqua che, placidamente, si muove.
Ma cominciamo da capo. L’idea di un’opera site specific nasce in occasione della realizzazione di Fata Morgana/La fonte sospesa di Albero Timossi, sulla fontana della Minerva, alla Sapienza di Roma. Proprio nella capitale, l’artista incontra l’archeologo (e docente) Lorenzo Nigro che propone all’artista di realizzare un intervento a Mozia, dove Nigro dirige la missione archeologica.
Ne segue un sopralluogo e un anno di incontri, di disegni, di progetti, di analisi accurate sul materiale relativo agli scavi del Kothon, l’acquitrino situato nella piccola isola trapanese.
Esso rimane ancora oggi un luogo emblematico e misterioso. La vasca, alimentata da fonti naturali, è circondata da un muro di pietre di forma circolare, il Tèmenos, un recinto in cui sono stati ritrovati numerosi “segnacoli”, costituiti prevalentemente da pietre di fiume condotte sull’isola dalla terraferma, disposti in modo da indicare punti di interesse, come le costellazioni.
Dai reperti ritrovati, tra cui ossa e resti di statue, si evince che il Kothon era un santuario in cui avvenivano riti religiosi, un luogo in cui si studiava il cielo anche dal suo riflesso, un punto cruciale sia per la sua posizione strategica, sia per l’approvvigionamento delle acque.
Di conseguenza, l’intervento di Timossi si è mosso su due linee: la prima - seguendo la sua vocazione all’arte ambientale - tiene conto della presenza delle tre sorgenti. La seconda amplifica la funzione religiosa del luogo, considerato sacro dalla popolazione dell’epoca che vi aveva collocato tre templi.
I segnacoli contemporanei sono tubi in pvc di colore rosso - spiega l’artista - dovuto al fatto che si tratta di un colore deciso, che non teme i confronti. Esso spicca in qualsiasi ambiente, ancora di più collocato qui, tra il chiarore dell’acqua e della terra argillosa. I segnacoli svettano dal fondo, dove sono attaccati, in modo che la punta possa fluttuare al vento.
Il loro riflesso sullo stagno ne allunga la forma irregolare. Sono di altezze diverse e modellati uno per uno. Timossi afferma di aver plasmato il materiale con il calore, in modo da creare forme sinuose ed enigmatiche, ognuna diversa dall’altra.
Ogni tubo è siglato in alto con un numero, in un gioco di corrispondenze con i reperti archeologici, supportando il dialogo tra arte ed archeologia, arte e storia: i segnacoli sono 26, lo stesso numero dei secoli di esistenza del Kothon (risalente al 600 a.C.).
Alcuni tubi sono posizionati in direzione delle sorgenti, altri riprendono la forma della costellazione di Orione, corrispondente al Dio fenicio Baal, a cui era dedicato un tempio.
L’incontro tra l’acqua salata che entra dalla parte più esterna del Kothon con quella dolce che qui si raccoglie è un ulteriore spunto di riflessione; è come se in questo luogo convogliassero gli opposti, la terra e il mare, l’orizzontale e il verticale (elemento fondamentale dell’opera), il suolo e il cielo, l’antico e il contemporaneo, mischiandosi e arricchendosi delle reciproche bellezze.
Mozia, piccola perla del Mediterraneo, adagiata sulla laguna dello Stagnone, fu preziosa per le civiltà che vi abitarono, e lo è per l’uomo contemporaneo che continua ad analizzarla e a trarne ispirazione. In questo luogo, sospeso nello spazio e nel tempo, grazie alla Fondazione Whitaker che ha reso possibile il progetto, il Kothon rivive, e si perpetua una sensazione di eterno.
Segnacoli è un lavoro pieno di suggestioni, che si accorda armoniosamente con l’ambiente in cui è collocato, amplificandone la peculiarità e l’incanto.
L’opera comunica attraverso i suoi lievi movimenti e accresce il thauma - in greco “angosciante stupore” - di chi la scruta, verso ciò che non si può conoscere del tutto, come l’antichità, verso ciò che non si può spiegare, come l’infinito, la spiritualità, l’intricato mistero della vita.
Sabrina Sciabica