È pensabile, come oggi recita la vulgata del linguaggio digitale e l’algoritmizzazione dei big data e data mining, ridurre l’informazione e la comunicazione agli automatismi di un programma che, si ipotizza, autoprogramma se stesso dal suo solo sé meccanico (machine learning)?
Un self che esclude gli stessi soggetti umani vivi (individuali e collettivi) e le essenziali imprevedibilità dell’agire (in generale) umano, delle variabili e della “complessità” dei sistemi, lavorando con relazioni e correlazioni, somiglianze e differenze predicative formalizzate? Un programma cioè che autoriflette e autoimpara trovando risposte, soluzioni e scelte dopo aver ricombinato e ri-algoritmizzato i dati in possesso e che ha accumulato (raccogliendoli dal mercato comunicativo dei social o dalle piattaforme come Google, Apple, Amazon …) le preferenze, le attese, i bisogni, i desideri etc. di ciascuno (forniture per di più volontariamente)? Un’algoritmizzazione (ragionamento che chiude il circuito dei suoi bit passo dopo passo) che si evolve secondo l’ordine delle elementari operazioni logiche della somma, moltiplicazione e divisione e per di più regolate poi dalle semplici ed elementari congiunzioni-disgiunzioni linguistiche-logiche-sintattiche che chiamiamo “and, not, or” (e, non, o).
Ma, a questo punto, è pensabile che la libera e autonoma “intellettualità di massa” (capacità generale e comune di pensare, immaginare, volere, progettare…), come ricorda Tullio De Mauro (Ai margini del linguaggio, 1984), venga messa da parte nella sua dimensione di lingua sociale? La socialità che si esprime e valorizza nel colloquiare e nel parlare “intellettuale” in interazione diretta (in presenza d’altri). In De Mauro di Aspetti del linguaggio e ruolo intellettuale delle parole (Ai margini del linguaggio) si legge:
«La presenza d’una costante componente interpretativa riflessiva in ogni produzione e ricezione linguistica (la continua possibilità di rimettere in discussione, interrogando e spiegando, ciò che veniamo dicendo nella forma e nella organizzazione d’una lingua) sembra caratterizzare in modo specifico il parlare rispetto ad altri tipi di comunicazione. E serve a valutare il diverso e specifico peso e ruolo che ha in esso la componente sociale. Molto di ciò che possiamo chiamare «pensiero» […] dal momento in cui possediamo una lingua non è facile […] chiamare pensiero se (c.n.) immune dalla presenza di un complemento linguistico. La possibilità-necessità di mettere in discussione di continuo il proprio dire con altri e con se stessi, […] riflessiva caratteristica del parlare, è la matrice stessa del pensiero nelle sue forme più sofisticate e razionali, cioè del sapere critico e scientifico: la cui forza, rispetto […] alle certezze assolute dei mistici e degli scettici, sta nell’aiutarci a circoscrivere limiti di validità e gradi di approssimazione di ciò che diciamo e a metterne in discussione (talvolta migliorandolo) il senso».
Per pubblico e studenti, diverse e tante sono allora le ragioni per colloquiare e/o “parlare” nei tempi dell’incontro con il prof. Lo Piparo su “Linguaggio e politica nell’era digitale- In ricordo dell’Insegnamento di Tullio De Mauro” (Marsala, “Carmine”, 26/9/’19, ore 17,30-20,30 circa): natura politica del linguaggio (l’uomo animale politico, animale che ha linguaggio, Aristotele); linguaggio e informazione “forza produttiva” e luogo di profitti; egemone il “codice” alfanumerico “prescrittivo” e “predittivo” (copyright) che, automi-bit telematici, istruiscono ed educano a comportamenti – pubblici e privati, individuali e collettivi – comandati aggirando la consapevolezza di ciascun utente; il potere multinazionale trasversale dell’industria-comunicazione-informatizzata; “gabbia di acciaio” (parafrasando M. Weber) postfordista; individui/popoli non più “disciplinati” nei luoghi chiusi (fabbrica, scuola, carceri, manicomi); nomi-parole-numeri algoritmo-digitalizzati amministranti la web “democrazia informatizzata” (non più rappresentativa); soggettività individuali e sociali assoggettate e servili; big data e data mining (merce di scambio e profitti) vaganti senza controlli dal basso; Fb, Twitter, Instagram app, bots, sweeping e Spotify che, invisibilmente, spiano e orientano il nostro tempo vitale.
Ecco perché è necessario e urgente “Capire le parole, Le Parole e le Cose” (eguaglianza, libertà, indipendenza e “intellettualità di massa” – intelletto generale, immaginazione, sentimenti, percezioni, passioni, bisogni e sogni – sono governati da automi determinati e in mano ai saperi-poteri dominanti, i pochi). De Mauro è fonte di approvvigionamento, come nel caso della parola “informazione” (Linguaggio e informazione, in Ai margini del linguaggio,1984):
«Informazione: 1 (antico): azione di dare forma, in senso proprio e figurato, quindi anche; 2 a: azione dell’informare, […] libertà d’informazione, agenzia d’informazione […]; 2 b: risultato dell’azione di informare […]; 3: ogni comando che può essere comunicato da un trasmettitore a un ricevitore, su un canale, grazie a un codice, segnale […] teoria dell’i (informazione, c.s.) […] misurabile in bit […]; 4: […] strumenti, mezzi, imprese che forniscono notizie a una comunità […]; 5: […] documentazione […], utilizzazione ottimale e automatica […] 6: implicazione logica di un atto […]; informazione genetica, informazione cerebrale: […] istruzioni che una cellula o un cervello ecc. immagazzina […]».
Senza dimenticare il complesso delle ricerche e delle opere (come “I due carceri di Gramsci- La prigione fascista e il labirinto comunista”, premio Viareggio 2012), Lo Piparo di “Semiotica e matematiche” (Quaderni di studi semiotici- Gennaio-Giugno 2014) è altra fonte: con l’aiuto – scrive (citiamo solo le tesi in indice: limiti di spazio) – di Frege, Wittgenstein, Chomsky, Euclide e la filosofia della Grecia classica […]: 1. Il numero è operatore linguaggio-dipendente. 2. Il nome è operatore numero-dipendente. 3. Gli operatori uno-molti e metron governano numero e nome. 4. Parlare e misurare (numerare) sono attività cognitive imparentate.
Nell’era digitale, per noi: a) un invito per uno sguardo critico sul linguaggio bit e sugli effetti problematici su “popoli” non più popoli (il mercato global-digitale non ha nazioni né patrie); b) un interrogativo inevitabile quanto incombente circa la costruzione in itinere dell’“algoritmo definitivo”, inseguito dall’Intelligenza Artificiale (IA). L’algoritmo cioè della “machine learning” (Pedro Domingos, “L’Algoritmo definitivo- La macchina che impara da sola e il futuro del nostro mondo”, 2015), ossia il software che, paradossalmente, in automatico (senza intervento umano), programma e ri-programma se stesso in base a presupposti e assiomi logico-aritmetici del tutto autoreferenziali e stemporalizzati. Un sistema che vorrebbe eclissare il principio godeliano (Kurt Gödel) della non simultaneità dei sistemi insieme “coerenti e completi”. Ma nessuna IA e naturale-umana-storica, per intrinseca impossibilità teorica e non, ha messo in ginocchio Gödel: se un sistema è coerente è incompleto; se è completo è incoerente (tralasciamo la spiegazione: troppo nota e divulgata è l’argomentazione).
Antonino Contiliano