Entrare nella mente dell’assassino è un desiderio che risponde a un fascino inconfessabile per il male. Fascino che tutti siamo portati a provare.
Pensiamo al successo di opere come “L’Avversario” di Emmanuel Carrère o la serie tv “Mindhunter”: il lettore/spettatore si trova inconsciamente a empatizzare con efferati serial killer, quasi a compatire le ragioni dei loro delitti. Per il tempo della lettura, o dell’episodio su Netflix, la distinzione tra ciò che è bene e ciò che è male rimane distorta, incomprensibile. Ed è in questo contesto che si inserisce il libro di Anna Vinci “Gaspare Mutolo. La mafia non lascia tempo” (Chiarelettere, 2019), confessione in prima persona, senza filtri, di uno degli uomini più influenti di Cosa Nostra.
Anna Vinci, per cominciare a parlare del suo libro vorrei intanto chiederle chi è stato, chi è Gaspare Mutolo.
E’ importante dire dove e quando nasce. Gaspare nasce a Palermo nel 1940, nel vivo della Seconda Guerra Mondiale: un tempo di estrema miseria e di forti difficoltà. Vive nel centro di Palermo, in una famiglia disagiata… in città ce ne sono tante. La mamma soffre di problemi di esaurimento nervoso. Lui, Gaspare detto “Asparinu”, è un bambino molto vivace, la scuola non gli interessa, la lascia alla fine delle elementari. L’ambiente in cui trascorre le giornate è quello in cui i piccoli mafiosi del luogo sono dei punti di riferimento. Di conseguenza, come lui stesso racconta nel libro, per un ragazzino di quell’epoca, che viveva di piccoli furti, diventare mafioso è un vero e proprio salto sociale, è un modo di affermarsi nell’ambiente in cui abita. E lui, mafioso, riuscirà a diventarlo.
Non un mafioso qualunque, ma addirittura il braccio destro di Totò Riina.
Riina lo conosce in carcere a venticinque anni, da allora entra a far parte della cerchia dei suoi uomini più fidati. Fino al 26 giugno 1992, quando decide di dissociarsi da Cosa Nostra e collaborare con la giustizia. Una vera svolta perché Mutolo - a differenza di Tommaso Buscetta, altro storico testimone di giustizia - faceva parte della mafia vincente, la mafia legata a Riina e ai Corleonesi.
E oggi?
La forza di Mutolo sta nel non essere mai tornato a delinquere.
Mutolo si muove in ambiente ambiguo, dove la mafia si confonde con la politica. E’ notizia di questi giorni che Silvio Berlusconi non deporrà al processo d’appello sulla Trattativa Stato - Mafia.
Nel mio libro c’è un capitolo, intitolato “Gli insospettabili”, dove Mutolo lascia alcune indicazioni molto rilevanti su quello che è accaduto negli anni della trattativa. E’ il marzo del 1974 e a Milano, per la mafia, è l’epoca dei sequestri. Quando si preparavano i sequestri si poteva stare anche uno, due mesi nella zona in cui bisognava creare i presupposti per il rapimento. Com’era modo di fare della mafia, ai sequestratori non si dicevano i nomi delle persone da sequestrare, si davano soltanto delle indicazioni sommarie. Al gruppo di Mutolo viene detto che bisogna rapire “quello che sta costruendo Milano 2” e loro si organizzano… Vi leggo un estratto dal libro.
Tutto era pronto per partire. Conoscevamo orari e spostamenti della vittima e gli uomini erano già stati istruiti. All'improvviso, però, da Palermo arrivò una telefonata.
«Salta tutto. Tornate qui.»
Dopo alcuni mesi, venni a sapere che Berlusconi aveva da qualche tempo in casa sua un ospite molto particolare. Si trattava di Vittorio Mangano, piazzato nella villa di Arcore. Ancora oggi, quando sento Dell'Utri chiamarlo «stalliere» mi viene da ridere. Certo, in Sicilia Mangano avrà anche lavorato in una stalla, ma solo fra un omicidio e l'altro.
Parola di Gaspare Mutolo.
Parola di Gaspare Mutolo. E’ importante ascoltare certi fatti dalle persone che erano presenti e sono state protagoniste di quei momenti.
Come abbiamo sentito, il suo è un libro-intervista che dà a Mutolo la possibilità di raccontarsi in prima persona. Cosa si prova quando ci si confronta con un uomo che ha incarnato la pura espressione del male?
E’ una domanda decisiva per il mio lavoro. In questo libro, che è stato ripubblicato da Chiarelettere, ma che prima era stato pubblicato da Rizzoli, solo che quando Rizzoli passò alla Mondadori ci furono dei problemi, bruciò un magazzino e tanti libri si persero tra cui i miei …
Diciamo che è stata solo una coincidenza...
Eh, le coincidenze fortuite... Grazie a Chiarelettere, dicevo, ho potuto ripubblicare i miei libri e quando ho ripreso in mano questo libro su Gaspare Mutolo ho aggiunto una trentina di pagine chiamate “Nella mente di un killer di mafia”. Confrontarmi con Mutolo non mi ha creato problemi: quando mi approccio a una storia, che sia inventata o reale, cerco sempre in qualche modo di lasciarmi trasportare dai personaggi. Nelle mie intenzioni, dopo le prime pagine, sono i personaggi a condurmi. Quando incontro Mutolo io mi lascio guidare dal ritmo della sua voce, da quello che racconta, mi immergo nella sua psiche senza “pre-giudizi” o atteggiamento moralistico. Penso che sia la condizione essenziale, quando si vuole raccontare una storia, quella di non tirarsi fuori. Ti ci immergi dentro e l’altro ti conduce. Per ascoltare devi avere la mente e il cuore libero.
Dalla parte di chi legge, Gaspare Mutolo è la foto di un volto nascosto da un passamontagna nero. Se dovesse cadere quel passamontagna, cosa rivelerebbe?
Oggi Gaspare Mutolo fa il pittore, dice di essere il secondo pittore naif italiano dopo Antonio Ligabue. Potrei dire che ha trovato una pacificazione in una sua personale ricerca della fede, ma io non voglio entrare così tanto nella sua anima e non devo neanche. Se cadesse il passamontagna, rivelerebbe il volto di un vecchio... Se vedo una foto di quello che era, quando era stato incarcerato nel 73, ed era già braccio destro di Riina, l’unica cosa che rimane sono gli occhi. Credo li avesse così anche da ragazzino, vivaci e arguti. E prudenti, nello stesso tempo. Quando guida gli capita ancora di vedere con circospezione lo specchietto retrovisore per un’antica abitudine a guardarsi le spalle. Alcune cose rimangono immutate. Crudeli, a volte, sono solo tracce. Quegli occhi raccontano la vivacità dell’anima nel volto di un uomo vecchio, sì, ma soprattutto di un uomo nuovo. Anche se nuovi non lo si è mai del tutto.
Marco Marino