di Marco Marino
Nel panorama editoriale italiano i libri di Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso sono delle pietre di inciampo. Protagonisti di una nuova stagione del giornalismo, il cosiddetto “graphic journalism”, nascono come libri che raccontano la stretta attualità, però posseggono una struttura e una narrazione diverse dalle normali inchieste giornalistiche: ci danno la possibilità di intuire il movimento della storia che stiamo leggendo, distinguono i colori degli eventi da quelli dei ricordi, intercettano un ritmo anomalo, più letterario che cronachistico. Sono opere davanti alle quali ci si sofferma, per comprendere cosa sta davvero succedendo intorno a noi. Attraverso un’immagine che non ci mostra il singolo accaduto, ma l’intero contesto.
Con Marco Rizzo parliamo del loro ultimo lavoro, “... A casa nostra. Cronaca da Riace” (Feltrinelli, 2019), sulla condizione dei migranti nel nostro Paese e sullo smantellamento del sistema Riace dopo le accuse all’ex sindaco Mimmo Lucano.
E’ una notizia apparsa su tutti i giornali: il nuovo sindaco di Riace, Antonio Trifoli, ha sostituito il cartello all’ingresso del comune, il celebre “Riace: città dell’accoglienza”, con “Riace: paese dei Santi Cosma e Damiano”. Una svolta radicale?
Se non altro è molto divertente. Soprattutto se pensiamo che San Cosimo e Damiano erano due migranti originari dell’Arabia. Due medici che soccorrevano i naufraghi in difficoltà. Il loro miracolo più famoso? Aver sostituito la gamba di un diacono romano con quella di un etiope morto. Nel tentativo di smantellare tutto quello che è stato fatto a Riace, ci troviamo di fronte a questo cartello con il volto dei due santi. Figure, tra l’altro, molto vicine anche alla comunità dei gitani. Prima ancora di Mimmo Lucano, a Riace per decenni i rom festeggiavano San Cosimo e Damiano, integrandosi nelle feste locali. Ecco che il paradosso grottesco, tipico del Meridione, si ripropone in maniera sacrale.
Dai santi Cosma e Damiano passiamo a Blessing, la ragazza nigeriana che nel vostro ultimo libro racconta del suo arrivo in Italia. Le migrazioni ci sono sempre state.
“... A casa nostra” vuole essere un po’ il seguito ideale del nostro libro precedente, “Salvezza”: siamo stati tre settimane a bordo della nave Aquarius e dopo quell’esperienza abbiamo voluto raccontare i soccorsi in mare. Con questo nuovo lavoro vogliamo parlare, invece, di cosa succede una volta che si sbarca dai gommoni o dalle navi, quando comincia il processo di integrazione. Storie come quella di Blessing testimoniano che non c’è alcuna “emergenza invasione”. Il fenomeno migratorio in Italia è un problema che ci insegue da molti anni ma in particolare oggi, nell’epoca del Decreto Salvini, l’allarme suscitato mette a repentaglio la vita di migliaia di persone. La Libia è sempre stata il centro dei traffici di uomini, di donne, di armi. Soltanto ora sembra che ce ne si debba occupare come un’irrimediabile catastrofe... ripeto, storie come quella di Blessing, in tempi non sospetti, c’erano già. E da anni uomini e donne approdano attraverso flussi canalizzati verso l’Italia.
“... A casa nostra” è un libro di uomini e donne, e anche di luoghi. I luoghi che descrivete sembrano realtà inimmaginabili come la baraccopoli di San Ferdinando e il suo racket dell’acqua calda. Invece è tutto vero...
San Ferdinando non è l’unica baraccopoli in Italia. Ce ne sono tante altre, anche da queste parti, ce n’è una enorme nei dintorni di Foggia. San Ferdinando forse è quella con la più alta mortalità. Tu citavi il racket dell’acqua calda... Nella baraccopoli abusiva, occupata da chi raccoglie le arance che finiranno sulle nostre tavole, non c’è acqua corrente. C’è solo una specie di container dove viene servita dell’acqua, ma è acqua fredda. Quindi qualcuno s’è bene organizzato e in quella strana comunità, in quel microcosmo dalle regole tutte sue, riscalda dei grossi secchi d’acqua che vende a un euro ciascuno. Farsi la doccia ti costa un euro.
Perché sottolineavi che la baraccopoli è abusiva?
Accanto alla baraccopoli abusiva ce n’è un’altra, che non è semplicemente tollerata come la prima, ma è addirittura legalizzata: sono le tende blu montante dal Ministero dell’Interno, quelle stesse tende che vediamo dopo i terremoti. E questo sottolinea, mostra, prova che c’è tutto un interesse da parte dello Stato a lasciare che la gente viva in quelle condizioni inumane.
Quando tu e Lelio arrivate a Riace, però, un vecchietto vi ferma dicendovi che ha scoperto un’originale e sicura panacea per tutti i mali di questo paese: il turismo!
Ognuno ha diritto alla propria opinione, e le opinioni diverse si sono viste nelle conseguenze del voto cittadino che ha punito la strategia di Mimmo Lucano e dei suoi sostenitori e ha premiato questo nuovo sindaco in quota Lega. Sì, sembra sempre che ci voglia la bacchetta magica del turismo per risolvere i problemi in tutto il Sud Italia. Per accorgerci immediatamente dopo che non è così. In Calabria ci sono tanti centri che provano a ricorrere al turismo per sopravvivere e non ci riescono comunque. Perché non esiste alcuna bacchetta magica: quello che s’era fatto a Riace aveva portato ad abitare nel centro storico quattrocento persone in più. Ora ce ne sono quattrocento in meno. Si erano aperte scuole, negozi gestiti dai riacesi. C‘erano cento persone che lavoravano nell’accoglienza ed erano perlopiù riacesi, o comunque calabresi. Oggi non c’è più niente. Questo è il dato di fatto assodato. Certo, è chiaro che il sistema di Lucano è stato smantellato non perché qualcuno volesse miracolosamente imporre il turismo in un paesino arroccato sulla montagna, ma per decisione di un volere più alto.
Nel libro c’è una lunga e appassionata intervista a Mimmo Lucano, che si presenta un po’ come il paladino delle ultime utopie. Non pensate che la vostra opera possa soffrire di manicheismo? Da una parte c’è Lucano con i buoni, dall’altra Salvini con i cattivi.
Voglio sottolineare che nell’intervista non abbiamo voluto omettere le cose più discutibili. Alla fine, ad esempio, Lucano ammette degli errori che noi abbiamo riportato nero su bianco così come lui ce li ha riferiti. Poi Mimmo Lucano è veramente così, è un uomo che ha provato ad applicare nella sua comunità un sogno di internazionalismo, di solidarietà, forse di terzomondismo, “un’utopia della normalità” come la definisce lui. Io da giornalista mi limito a riportare le sue parole e nelle sue parole c’è tutto questo. Se qualcuno leggendo il libro la pensa diversamente da me e da lui, ci troverà sicuramente una marea di fandonie o di sogni irrealizzabili. Qualcun altro, invece, ritroverà quei vecchi sogni di pace e solidarietà sociale che appartengono a una certa idea della sinistra.