Comincia oggi Inside Licata. Un’inchiesta a puntate di Tp24 sul re delle sale ricevimenti a Marsala, Michele Licata, il sistema andato avanti per anni che ha portato a milioni di euro di tasse evase, alle truffe sui contributi pubblici, soldi nascosti, fornitori compiacenti, in quello che è diventato un caso studiato in tutta Italia.
Il caso è quello del più ingente sequestro preventivo di beni mai effettuato in Italia per fatti non di mafia. Questa estate la sezione misure prevenzione del Tribunale di Trapani ha confiscato i beni di Licata. Non tutti. Ma in città si erano sparse voci sulla sua innocenza, sulla restituzione dei beni, i grandi alberghi e le sale ricevimenti. Tutto falso. E Tp24 ha spiegato cosa è successo davvero, con un’operazione verità, alle società di Licata. Questa inchiesta a puntate entra nel cuore del sistema Licata. Nel suo Monopoly, di come abbia fatto negli anni ad accumulare e nascondere allo Stato milioni di euro. Raccontiamo come sono cominciati i guai per Licata e famiglia, chi sono i fornitori compiacenti, come agivano, i precedenti di Licata, come ha evaso le tasse e come ha ottenuto fondi pubblici con l'inganno. E ancora perchè è un soggetto pericoloso, e quali sono tutti i beni confiscati.
Perché lo facciamo? Perché è un caso di interesse nazionale, perché è una storia che, per compiacenza o incapacità, nessun altro avrebbe potuto raccontare, perché è una storia che riguarda una delle principali realtà economiche del nostro territorio, e certo modo che in cui alcuni imprenditori locali interpretano le regole della concorrenza dalle nostre parti...
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Michele Licata è conosciuto da tutti. E’ uno dei più noti imprenditori marsalesi, titolare del più grosso albergo della provincia, il Baglio Basile, a Petrosino, e di altre strutture turistico - alberghiere: il Delfino, il Delfino Beach Hotel, la Volpara, e altre società.
Nel 2015 finisce su tutti i giornali. La Procura di Marsala, infatti, chiede e ottiene per lui il sequestro di tutti i beni: 127 milioni di euro. Non solo le società, anche gli immobili, i conti correnti, tutto. La Procura sostiene che l’impero di Licata sia basato su una colossale truffa allo Stato, per un’evasione seriale di tasse e imposte. Il sequestro riguarda lui, sua moglie Maria Vita Abrignani, le figlie Valentina, Clara Maria e Silvia, la madre Maria Pia Li Mandri e il genero Roberto Cordaro.
E’ un fatto eclatante. Noi siamo abituati a vedere, infatti, il sequestro dei beni, per imprenditori vicino alla mafia. Quello che subisce Licata è invece il più ingente sequestro mai subito in Italia NON attinente a fatti di mafia.
Licata con una serie di operazioni contabili e una rete di complicità riusciva a presentare bilanci delle sue attività che a prima vista risultavano ineccepibili. Però, come persona fisica dichiarava al fisco poche migliaia di euro l’anno, aveva invece una disponibilità liquida di diversi milioni di euro.
Che significa “sequestro”? Michele Licata e i suoi vengono allontanati dalle aziende che gestiscono, che passano in mano, provvisoriamente, allo Stato.
Per la confisca, il passaggio definitivo dei beni allo Stato, si deve attendere l’esito di un altro processo. Processo che è terminato quest’estate con la confisca di gran parte dei beni a Licata. Un processo che ha come esito non una sentenza, ma quello che in gergo si chiama decreto motivato di confisca. E che abbiamo riassunto qui.
Licata, invece, in sede penale è stato condannato a 4 anni e 5 mesi e 20 giorni in primo grado. Questo processo è scaturito dal sequestro dei beni effettuato nel 2015, e la sentenza viene in buona parte ricalcata nelle motivazioni che portano alla confisca e che in queste puntate raccontiamo.
Ma da dove comincia tutto? Dove e quando cominciano gli inquirenti a mettere gli occhi sui conti di Michele Licata e delle sue società?
Tutto comincia in seguito alla segnalazione della Dia di Trapani sulle violazioni tributarie in cui era incorsa la ditta individuale Sciacca Giuseppe, con riferimento a rapporti commerciali intrattenuti negli anni 2009-2010 con le società del gruppo Licata.
La palla passa al Nucleo Polizia Tributaria di Trapani che comincia leggere le carte delle società di Michele Licata e famiglia. Vedremo poi come i familiari erano praticamente dei prestanome, come tutte le operazioni fraudolente erano, secondo quanto emerso, gestite da Michele Licata.
La Polizia Tributaria individua ben 11 fornitori sospettati di aver emesso fatture per operazioni inesistenti. Già in questa fase sono emersi elementi che facevano supporre la truffa su due erogazioni di contributi pubblici alla Delfino Srl per quasi 4,5 milioni e alla Roof Garden per 2 milioni. Si ipotizzò che queste società si fossero avvalse delle false fatture emesse da Sciacca e da tutti gli altri per rappresentare all’ente erogante l’esecuzione di lavori edili in realtà mai effettuati.
Dalle indagini che hanno scaturito il sequestro, e poi la confisca, è emerso che Licata aveva evaso imposte, Iva e Ires, tra il 2005 e il 2013, per un totale di 9 milioni di euro. Inoltre sempre in quel periodo avrebbe annotato in contabilità fatture fittizie per oltre 25 milioni di euro. Sono stati scoperti pagamenti fittizi per 13 milioni di euro, ad adempimento di debiti derivanti da fatture relative ad operazioni inesistenti. Inoltre si può in sostanza dire che Licata, tra risparmio di imposta evasa e somme indebitamente sottratte alle società, aveva conseguito un indebito vantaggio patrimoniale di oltre 22 milioni di euro. si è anche scoperta della truffa per l’indebita percezione di erogazioni pubbliche per 4.4 milioni di euro.
Licata è stato anche indagato per dichiarazione infedele, aveva omesso di indicare nelle dichiarazioni annuali personali i proventi illeciti derivanti dalla appropriazione indebita, imposta evasa per 4 milioni.
Fatture false, fatture gonfiate per ottenere fondi pubblici, ed evadere il fisco. Uno stratagemma portato avanti per anni da un imprenditore che è stato considerato da molti un benefattore. Per il tribunale però Michele Licata è un soggetto pericoloso. Nelle prossime puntate vedremo perchè.