di Marco Marino - Cosa succede ogni anno, e ne sono già passati ventisette, nella notte tra il 19 e il 20 luglio, tra il giorno della Strage di Via D’Amelio e il suo domani? È difficile parlarne, per qualcuno potrebbe addirittura risultare blasfemo, ma è come se nel rintocco della mezzanotte del 19, in una sorta di ingovernabile disincanto, finissero d’un tratto le parate militari, le marce della speranza, le teorie dei politici politicanti: una volta rinvigorito il nostro “sentimento antimafioso”, possiamo finalmente ritornare a dimenticare.
Possiamo ricominciare a dimenticare la solitudine dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i nomi degli agenti di scorta pronunciati sempre troppo velocemente, possiamo ricominciare a dimenticare che siamo stati tutti vittime e rei del “più grave depistaggio della storia giudiziaria italiana”: nessuna verità sulle Stragi, solo imposture.
Oggi, alle 18 al Convento del Carmine di Marsala, parleremo con Giuseppe Lo Bianco, autore di “Depistato” (Chiarelettere, 2019; con Sandra Rizza), di tutte quelle imposture, dei responsabili del depistaggio di Via D’Amelio e di come sia stato possibile imbastire per trent’anni una tale messinscena mediatica. A dialogare con lui ci sarà il giornalista Carlo Rallo.
Anticipiamo alcuni dei nodi cruciali in un’intervista esclusiva che ci ha rilasciato Giuseppe Lo Bianco.
Alla vigilia del 27esimo anniversario della strage di Via D’Amelio, la commissione Antimafia ha desecretato tracce audio inedite di Paolo Borsellino. Ne è seguito un caso mediatico molto discusso, perché?
In quegli audio Borsellino lamenta una mancata protezione da parte dello Stato. Alla commissione Antimafia dice di avere la scorta soltanto la mattina; il pomeriggio invece è costretto ad andare a lavoro con la sua auto personale. E denuncia, inoltre, una mancata protezione ventiquattr’ore su ventiquattro: la prima regola per tutelare un magistrato che si occupa di mafia. Stiamo parlando del 1984, anno in cui aveva iniziato a istruire il Maxiprocesso insieme a Giovanni Falcone dopo le dichiarazioni di Tommaso Buscetta.
Un ulteriore elemento che si aggiunge al ritratto del Borsellino solo e isolato, che porta avanti le sue indagini.
Per quanto riguarda l’isolamento del giudice Borsellino, bisogna riflettere bene sul periodo di cui ci occupiamo. C’è stato un momento in cui Borsellino fu tutto tranne che isolato dalla vecchia classe politica, che tentò anzi di metterlo a proprio scudo. Infatti lo promosse e lo candidò alla Procura Nazionale Antimafia e persino al Quirinale, votandolo con 47 voti in uno dei turni di scrutinio solo due giorni prima della strage di Capaci. A votarlo furono 47 deputati del Movimento Sociale Italiano. La conclusione che ne possiamo trarre è che Borsellino, più che isolato, fu utilizzato dalla classe politica e da altri pezzi dello Stato come scudo e parafulmine dopo la morte di Falcone. Come suo erede. Gettandolo, inevitabilmente, in una durissima solitudine.
…Solitudine di cui tutti sembriamo accorgerci soltanto due anni fa, quando Fiammetta Borsellino, durante le rituali commemorazioni, parla di una verità giudiziaria ancora molto lontana da raggiungere.
“Uno dei più gravi depistaggi della nostra storia giudiziaria”. Questa è la verità giudiziaria che è stata consegnata agli italiani per quasi tre decenni. Questa è la definizione che ne dà il Processo Borsellino quater. Dal canto suo Fiammetta Borsellino pone una questione importante e seria, che - possiamo dire - si pongono anche tutti gli addetti ai lavori: la storia delle indagini taroccate, che hanno avuto al centro un personaggio come Vincenzo Scarantino (nient’altro che uno strumento per costruire una gigantesca montatura), non hanno portato da nessuna parte. La responsabilità degli investigatori si cristallizza nella presenza, sul banco degli imputati, di un funzionario di polizia, un sovrintendente e un ispettore del gruppo Falcone-Borsellino.
Ma è credibile che la magistratura del tempo abbia preso un così forte abbaglio?
A questa domanda cerca di rispondere la Procura di Messina che ha messo sotto inchiesta due dei magistrati che condussero le indagini di allora, Anna Maria Palma e Carmelo Petralia. Sapremo dalla magistratura di Messina qual è il confine tra la colpa e il dolo.
Pensa che anche il mondo dell’informazione abbia le sue colpe?
Da sempre noi giornalisti ci siamo interrogati sulla vicenda Borsellino, non soltanto perché l’abbiamo considerata una terribile strage, ma soprattutto perché l’abbiamo iscritta in un contesto molto più ampio. Che è quello della strategia della tensione. Se non si legge in questo tipo di contesto, non si riesce a capire per quale motivo, per quasi trent’anni, si è messo in atto un depistaggio di tali dimensioni.
E oggi? Abbiamo perso del tutto le speranze di chiarire ruoli e colpevoli?
Oggi siamo fiduciosi. O meglio siamo più attenti agli sviluppi investigativi. Abbiamo due sentenze importanti, una è il Borsellino quater e l’altra è quella del Processo sulla Trattativa Stato-Mafia, che incidentalmente si è occupato anche della Strage di Via D’Amelio. Partendo da questi punti di partenza, è possibile avviare un lavoro investigativo nuovo e più incisivo, che spinga finalmente nella direzione di quella tanto attesa verità. Che è doveroso restituire ai familiari delle vittime e a tutti noi cittadini italiani. Abbiamo alle spalle un ventennio di vita istituzionale in cui questa vicenda è stata completamente rimossa, mascherata dal punto di vista processuale e dimenticata dall'opinione pubblica. Pare che tutti l’abbiano già metabolizzata.
Un’ultima curiosità. Nel libro scrivete di una nuova pista investigative che riguarda il registro delle chiamate di Paolo Borsellino.
Un risvolto inquietante delle indagini. E’ un aspetto nuovo che è venuto fuori con la deposizione di Gioacchino Genchi, il funzionario di polizia che lavorò per un periodo nel gruppo Falcone-Borsellino al fianco di Arnaldo La Barbera. C’erano delle telefonate in entrata sul telefono di Borsellino che dovevano scomparire. Dal telefono del giudice, infatti, siamo riusciti a trovare e ad analizzare solo le chiamate in uscita. Quelle in entrata no: perché? Resta uno dei tanti aspetti inquietanti attorno alle indagini su Via D’Amelio.