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11/10/2019 06:00:00

Inside Licata/5. La confessione: "Sì, ho usato fatture false"

Inside Licata. Un’inchiesta a puntate di Tp24 sul re delle sale ricevimenti a Marsala, Michele Licata, il sistema andato avanti per anni che ha portato a milioni di euro di tasse evase, alle truffe sui contributi pubblici, soldi nascosti, fornitori compiacenti, in quello che è diventato un caso studiato in tutta Italia. Questa inchiesta entra nel cuore del sistema Licata. Nel suo Monopoly.

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 Ha ereditato un principato e ne ha fatto un impero. E lo ha mantenuto a suon di fatture false, di contributi pubblici ottenuti anche con l’inganno, di tasse evase e pagamenti in nero. C’è chi ha detto, in tutti questi anni, che Michele Licata fosse un genio del crimine. C’è chi sostiene che sia stato solo un evasore di entità quasi cafonesca. La verità, come spesso accade, potrebbe stare nel mezzo, e certo è che il sistema messo in moto dal re degli hotel era collaudato e per anni indisturbato.


Abbiamo raccontato di come Licata, dal 2006 al momento del sequestro, abbia ottenuto vantaggi delle fatture false che si faceva emettere da fornitori compiacenti. Fatture emesse da imprese che non avevano una struttura aziendale capace di sostenere commesse così importanti. Ditte individuali, artigiani, e imprese vere e proprie che in molti casi erano evasori totali. Che come il proprio committente non dichiaravano quanto dovuto al fisco. Aziende che non inserivano in contabilità le fatture emesse alle società di Licata. Roof Garden, Rubi, Delfino, Delfino Ricevimenti, erano le società riconducibili a Michele Licata. Lui era l’amministratore di fatto, anche se sulla carta figuravano le figlie. Lui orchestrava il giro di fatture che servivano a ottenere ingenti benefici. Negli anni alle società di Licata sono state emesse fatture false per oltre 20 milioni di euro. False, perchè riferibili a lavori e servizi mai effettuati. False, perchè in alcuni casi erano state plagiate da ragionieri “infedeli”. Licata a chi gli emetteva le fatture false corrispondeva qualcosa come il 2, il 3, a volte anche il 10% dell’importo pagato. Già, perchè quando Licata pagava la fattura, il resto tornava nelle sue tasche. O meglio, nei conti dei suoi familiari e in quelli delle sue società. Si chiama appropriazione indebita ed è fatta, in questo caso, per aumentare i costi delle sue società, diminuire di conseguenza il ricavato imponibile da dichiarare su cui vengono calcolate le imposte. In questi anni Licata ha evaso Irpef per oltre 4 milioni di euro. E le sue società hanno evaso Iva e Ires per 4,7 milioni di euro.


Questo lo schema, questo il sistema. Il castello crolla nel marzo 2015, quando arriva il sequestro dei beni. Allora, Licata, decide di andare in Procura e confessare tutto, o quasi.


Questa la confessione di Licata agli investigatori.
“Ammetto i fatti che mi vengono addebitati, sono l’unico responsabile degli stessi, le mie figlie non c’entrano nulla. Desidero pagare, le strutture sono state realizzate, sono organiche e funzionali, non è stato distolto denaro pubblico perchè i lavori sono stati fatti; sono stati fatti in nero e pertanto ho dovuto documentare le spese sostenute per tali lavori ricorrendo a delle false fatture. Preciso che ho speso anche più di quello che ho falsamente rendicontato. Ci sono operazioni che, come ho detto, sono state fatte in nero, e altre che invece sono completamente inesistenti, utilizzate sono per compensare i lavori fatti in nero”.

 

Poi a Licata risponde alle domande sulle ditte che hanno emesso fatture in suo favore, e i rapporti che c’erano. Dice che alcune ditte hanno emesso tutte fatture false, per lavori inesistenti. Dice che alcune invece avevano emesso fatture che per una parte si riferivano ad operazioni inesistenti. Diceva Licata, quando gli inquirenti gli mostravano alcuni rapporti, “si le fatture sono tutte false, relative a prestazioni mai eseguite”.


E’ indicativo, nel sistema Licata, il rapporto che aveva non solo con i titolari delle aziende ma anche con chi vi lavorava.
Ad esempio c’è il caso del ragioniere che possedeva i timbri delle ditte per cui lavorava e, dietro compenso, avrebbe emesso le fatture false.


Ad esempio questo succedeva con le fatture emesse dalla ditta individuale Fiocca Vito Salvatore. “I documenti - racconta Licata - mi sono stati consegnati da un soggetto che aveva lavorato con le mansioni di ragioniere per Fiocca. Tale soggetto è Giacalone Filippo. Debbo precisare che Fiocca era ignaro di tutto… Giacalone Filippo disponeva anche dei timbri della ditta Fiocca. Era lui a redigere le fatture....”.


Aggiunge poi Licata che “anche le fatture relative alla ditta Master Impianti di Palmeri Carlo sono false, ineriscono a prestazioni mai eseguite nei confronti delle mie società. Detta ditta mi è stata suggerita sempre da Giacalone filippo, che disponeva dei timbri della ditta… Avevo stabilito con Giacalone delle percentuali sull’ammontare delle false fatture che lui mi faceva avere”.

Licata nella sua dichiarazione tende anche a scagionare le figlie, amministratrici sulla carta delle società, dicendo che era lui di fatto a gestirle. E aggiunse: “Sono disponibile a pagare per i reati da me commessi, per le irregolarità fiscali che saranno accertate e anche per riparare il danno da me causato”.

 


Un danno che ha origini lontane, con una condotta perpetrata nel tempo, e per la quale i giudici hanno ritenuto Michele Licata un soggetto “socialmente pericoloso”. In grado di evadere per anni le tasse, di creare guadagni illeciti, di nascondere soldi allo Stato. Dove sono finiti i soldi nascosti da Licata, e come ha coinvolto tutta la sua famiglia, lo vedremo nelle prossime puntate.

 

PUNTATE

1 - Così sono cominciati i guai per il re degli hotel di Marsala
2 - Il “modus operandi”, le aziende compiacenti, le fatture false
3 - Soldi pubblici con fatture false. I progetti al Baglio Basile e Delfino
4 - La maxi evasione, ecco tutte le imposte non pagate