Una vasta operazione dei carabinieri del comando provinciale di Catania è in corso in Sicilia e in tutto il territorio nazionale per la cattura di 32 persone accusate di appartenere a Cosa nostra etnea.
La Direzione distrettuale antimafia della locale Procura distrettuale le ha indagate, a vario titolo, per associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni, traffico di stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi.
L'indagine ha consentito di fare luce sull'articolazione della struttura interna alla famiglia catanese di Cosa nostra, cristallizzando la presenza di figure verticistiche e i ruoli di responsabilità ben definiti.
L'INDAGINE. Due anni di indagini e il racconto di una sfilza di pentiti hanno permesso di ricostruire parte dell’organigramma della famiglia catanese di Cosa nostra. Nel blitz, nome in codice Black Lotus, gli inquirenti sono riusciti a risalire al reggente pro tempore del clan, ruolo che è stato ricoperto prima da Francesco Santapaola, figlio del capomafia Benedetto, e successivamente prima di Antonino Tomaselli e infine ad Aldo Ercolano.
L’indagine è scattata nel marzo 2015 dopo la denuncia di un imprenditore vittima di un tentativo di estorsione. Le investigazioni hanno spiegato il “modus vivendi” del clan Santapaola-Ercolano, suddiviso in gruppi radicati ciascuno su una propria zona territoriale di influenza e dotati di una autonomia decisionale ed operativa limitata dall’esigenza di rispondere, per i fatti più importanti, ai vertici del clan.
L’operazione ha riguardato il gruppo di “San Pietro Clarenza e Barriera” ed quello di “Lineri”, tutti e due operanti tra Camporotondo Etneo, San Pietro Clarenza, Misterbianco e Belpasso. Ricostruiti grazie all’apporto di una quindicina di racconti di operatori economici almeno trenta episodi di estorsione, sia tentata che consumata, oltre a traffico di stupefacenti ed intestazione fittizia di società. Le investigazioni hanno dimostrato, con riferimento ad un territorio particolarmente esteso, che il clan per affermare la propria esistenza e per assicurarsi una sostanziosa fonte di sostegno economico, ha pianificato un vasto e capillare sistema di estorsioni con gravi atti intimidatori: dagli attentati alle attività produttive sino alle aggressioni agli imprenditori.
Le imprese vessate versavano nelle casse del clan importi che si aggiravano tra i tremila e i cinque mila euro annui a cadenze periodiche. Denaro che oltre ad essere destinato alle famiglie dei detenuti, veniva anche reinvestito in attività imprenditoriali del settore ludico e dei trasporti, attraverso dei prestanome.
Degli arrestati 21 sono stati reclusi in carcere, dieci ai domiciliari. Una sola persona risulta irreperibile.
In carcere sono finiti: Carmelo Ardizzone, Sebastiano Caruso, Orazio Coppola, Antonino Correnti, Domenico Orazio Cosentino, Carmelo Di Stefano, Aldo Ercolano, Giuseppe Faro e Giuseppe Felice, Roberto Finocchiaro e Gianluca Lo Presti, Salvatore Messina , Corrado Monaco, Carmelo Puglisi, Vito Romeo, Francesco Santapaola, Giuseppe Santoniocito, Barbaro, Carmelo e Pietro Stimoli, Antonino Tomaselli. Ai domiciliari: Andrea e Vincenzo Consoli, marcello Corona, Carmelo Di mauro, Salvatore La Rosa, Giuseppe Leocata, Venerando Leone, Stefania Politini, Giuseppe Puglisi e Gabriele Stimoli.