“Non è soltanto un potere bestiale, ma qua siamo a livello di organizzazione di delitti dove soltanto i criminali le fanno queste cose! Quindi... questa è la mia preoccupazione... cioè la certezza che adesso ci si trova di fronte a persone disposte a tutto!”
A parlare, intercettato con Marco Venturi, è Alfonso Cicero, presidente dell’Irsap (Istituto per lo Sviluppo delle Attività Produttive), l’ente che amministra le aree industriali in Sicilia.
Cicero e Venturi, l’imprenditore che si era dimesso da assessore tecnico alle Attività Produttive nel governo Lombardo mandando tutte le carte in Procura, sono gli uomini chiave dell’inchiesta della Dda di Caltanissetta che ha portato all’arresto di Antonello Montante.
Quest’ultimo, ex responsabile legalità di Confindustria e numero uno degli industriali in Sicilia, è stato recentemente condannato in primo grado a 14 anni: associazione a delinquere finalizzata alla corruzione.
Inoltre, come rivelato da Repubblica, proprio dopo le motivazioni della sentenza del giudice Graziella Luparello, il pm del processo, Maurizio Bonaccorso ha rinunciato all’inchiesta. E al momento non si sa nulla dei motivi precisi che hanno determinato questa scelta, accolta dal procuratore Amedeo Bertone.
Dalle numerose pagine della sentenza Montante emergono diverse vicende che fanno riflettere su un sistema che, non solo faceva finta di combattere la mafia, ma si adoperava attivamente contro coloro che stavano invece davvero raggiungendo dei buoni risultati.
Illuminante in questo senso ci sembra ciò che dice Alfonso Cicero, in un dialogo con Marco Venturi intercettato nel settembre 2015, su Antonello Montante e gli interessi mafiosi:
CICERO: […] Che non è così diretto... interessi di mafia... dirlo... ma è condizionato da interessi di mafia... cioè una cosa che lui mi dice... sai io a Trapani con Gregory BONGIORNO ama a ghiri a fare un patto con la cosca di MESSINA DENARO, dei VIRGA e cà cu CICERO un si po’ fa! Giusto? Per il fotovoltaico... (inc)... sono diretti... (inc)... direttamente alla mafia no?
Da questa e da numerose altre intercettazioni di conversazioni tra Venturi e Cicero “emerge pacificamente – si legge nella sentenza - il senso dell’iniziativa della rottura, mediatica e giudiziaria, con MONTANTE, certamente estranea ad ogni intento di esibizionismo pubblico, ma anzi condotta all’ombra di un forte metus per le possibili azioni ritorsive del potentissimo imprenditore, amico di magistrati, prefetti, ufficiali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza e di alti funzionari della Polizia di Stato”.
Ma emerge anche la consapevolezza di essere stati strumentalizzati ed oggetto di un comportamento ambivalente.
Da una parte, infatti, il loro lavoro viene portato in Commissione Nazionale Antimafia “… dall’altra parte tenta di farlo saltare in tutti i modi”, spiega ancora Cicero nel dialogo con Venturi. “Cioè anche… a noi ci chiede CROCETTA di ritirare… questa è una goccia nel deserto… nell’oceano che è importante… perché? Perché viene abbandonata e isolata tutta questa nostra azione? Perché? A chi vogliono tutelare?”.
Insomma, Alfonso Cicero e Marco Venturi, nel corso del tempo si erano accorti che la “rivoluzione” dichiarata da Confindustria era un travestimento che serviva per coprire altro.
Montante, infatti, assicurava protezione a certi ambienti, da “abile manipolatore delle altrui vite e delle altrui carriere – si legge nella sentenza - solito ‘spostare’ i soggetti che gravitavano nella sua sfera d’azione come pedine inserite all’interno di una strategia scacchistica con finalità di costruzione del proprio potere”.
Il timore oggi è che questo potere possa continuare ad influenzare un’antimafia ormai abusata, fino al punto da diventare essa stessa la scena del crimine.
Egidio Morici