Una storia di straordinarie violenze tra le mura domestiche. E’ quella che approda in Tribunale, a Marsala, in un processo che vede un 21enne marsalese, Giacomo Minolfo, accusato di violenza sessuale aggravata, sequestro di persona, maltrattamenti in famiglia, lesioni personali aggravate e violenza privata. La prima udienza è prevista per il 30 ottobre.
La vittima è l’ex fidanzata e compagna convivente di Minolfo, S.C., di quasi due anni più grande di lui. La giovane si è costituita parte civile. Ad assisterla è l’avvocato Marco Perrone. Legale dell’imputato è Fabio D’Anna.
Secondo l’accusa, per S.C., il periodo di convivenza con Minolfo si sarebbe rivelato un vero incubo. E anche se solo una minima parte delle accuse dovessero essere provate, sarebbe comunque una storia terribile.
Le prime avvisaglie alla fine del 2016, quando il giorno di Santo Stefano, nel corso di una lite, il Minolfo avrebbe selvaggiamente picchiato la compagna: calci all’addome e pugno in volto. Poi, per impedirle di tornare dalla madre, che sicuramente si sarebbe accorta dei lividi, la costrinse, puntandole una pistola, che la ragazza pensava essere vera e funzionante, a telefonare alla madre per dirle che quel giorno non sarebbe tornata a casa. Le altre contestazioni, invece, sono datate aprile 2017. E teatro dei fatti sarebbe stata un’abitazione di contrada Misilla, anche se il Minolfo è residente nel centro cittadino, dove è cresciuto. La violenza sessuale sarebbe stata commessa la mattina del 3 aprile di due anni fa, quando avrebbe costretto la compagna ad un rapporto contro la sua volontà. Dopo un suo rifiuto, infatti, l’avrebbe spogliata, afferrata per i fianchi e ne avrebbe abusato da dietro mentre la ragazza tentava disperatamente di divincolarsi. Dal 2 al 14 aprile 2017, inoltre, l’avrebbe sequestrata in casa. “Già vittima di quotidiani maltrattamenti e minacce”, si legge nel capo d’accusa, sfruttando il suo “stato di prostrazione e sottomissione”, ne avrebbe controllato ogni movimento, anche di notte, non lasciandola mai sola, vietandole di telefonare a chiunque, se non in sua presenza, e obbligandola a rimanere all’interno della sua abitazione di Misilla, privandola così della libertà personale. Corposo anche il capitolo dei maltrattamenti. Dopo il pestaggio del giorno di Santo Stefano, anche nell’aprile successivo, Minolfo avrebbe sottoposto la compagna “a continue vessazioni fisiche e psicologiche”. In particolare, l’avrebbe segregata a casa, impedendole di uscire persino per fare la spesa, di avere rapporti con altre persone, neppure con la madre, alla quale poteva soltanto telefonare, ma in sua presenza. Poi, dopo “un breve periodo di convivenza pacifica, in preda ad improvvisi scatti d’ira motivati da un’infondata gelosia, iniziava a picchiarla quasi quotidianamente in modo selvaggio, utilizzando in un’occasione anche un coltello e un cacciavite, lasciandole evidenti lesioni quali ferite ed ematomi”. Il 2 aprile, l’avrebbe picchiata con calci e pugni all’addome, afferrandola per i capelli e trascinandola per terra. Poi, anche un pugno in volto, con lesione al labbro. Dieci giorni dopo, con coltello da cucina e cacciavite la feriva alla coscia sinistra. Con ecchimosi in altre parti del corpo. Le controllava anche il telefono e il profilo facebook, che avrebbe gestito lui stesso. Non contento, l’11 aprile, le avrebbe distrutto il telefono per paura che potesse fotografarsi i lividi. L’avrebbe, inoltre, umiliata “in continuazione”. Fin quando, il 19 aprile 2017, disperata, non si decise a denunciare alla polizia quanto avrebbe subito. Scattata l’indagine, a rinviare il Minolfo a giudizio è stato, poi, il gup Francesco Parrinello.