di Marco Marino
Manca meno di una settimana all’inizio della stagione 2019/2020 del Teatro Biondo di Palermo, intitolata “Traghetti”. E le novità non sono poche e segnano tutte importanti rivoluzioni. Innanzitutto la nuova direzione affidata a Pamela Villoresi, che arriva dopo il “quinquennio aureo” di Roberto Alajmo e propone nuove sfide per rompere le ultime barriere che si contrappongono tra il teatro e la città.
Siamo andati a trovarla nel suo ufficio. Protetta dai manifesti delle produzioni del Biondo - da una parte il Macbeth di Vincenzo Pirrotta, dall’altra l’Odissea a/r di Emma Dante - e incorniciata da dodici disegni “teatrali” di Bruno Caruso, quella di Pamela Villoresi è una stanza che riflette la frenesia di questi giorni concitati: a dividerci, sul divanetto verde pastello su cui ci accomodiamo, c’è una grande agenda da tavolo interamente annotata da penne di svariati colori.
Leggendo il cartellone, ci aspettiamo una stagione all’insegna di uno spirito di mobilità pieno di speranza.
Era il senso che volevamo dare a questi “Traghetti”. Un titolo che quest’anno non indica soltanto il passaggio da un direttore a un altro, ma che soprattutto vuole parlare di un’umanità in movimento: la cultura è un traghetto che ci conduce da un punto a un altro nello spazio della nostra coscienza. Pensiamo a Leonardo da Vinci e alle sue opere - cui è dedicato lo spettacolo di Emiliano Pellisari che avremo a teatro a chiusura dell’anno - non sono forse stati “traghetti” che hanno proiettato l’umanità dal passato al futuro? Volevamo restituire l’idea di questo movimento verso un futuro nuovo, verso una diversa acquisizione di coscienza del nostro presente. E siamo contenti che si intuisca che il nostro movimento è un procedere gioioso.
Ha accennato al passaggio di direzione. Come ha trovato il Teatro Biondo al suo arrivo?
Il Biondo aveva già cominciato un percorso di apertura e valorizzazione dei talenti del territorio, che è un cammino importante. E anche in accordo con Roberto Alajmo, il direttore che mi ha preceduto, è una traccia che sto proseguendo.
In che modo?
Confermando, intanto, l’assoluta sovranità di Emma Dante come regista del nostro teatro e continuando nella ricerca di quei talenti. Mancavo dal territorio da qualche anno, per cui ho incontrato tante persone e ho visto moltissimi spettacoli. È vero, non posso nascondere che è una cosa che certo mi affatica, ogni giorno l’agenda scoppia… Eppure è davvero entusiasmante. Devo dire che attorno a noi c’è uno straordinario fermento culturale!
In queste settimane prima della stagione, avete proposto diversi spettacoli fuori dalle mura del teatro. Continuerete?
Sì, è una nostra urgenza, cui s’è legato anche un invito del sindaco Orlando e del Presidente Musumeci. Abbiamo lavorato su Brancaccio, in un progetto che si chiamava “Biondaccio”, portando lì degli spettacoli gratuiti nelle domeniche di settembre. Adesso stiamo per pianificare un laboratorio all’interno del quartiere San Giovanni Apostolo e c’è un altro progetto che dovrebbe partire con Danisinni. Abbiamo collaborato a un laboratorio al carcere femminile Pagliarelli. E stiamo pure cercando di organizzare un’app del teatro.
Vi sposterete anche nel mondo virtuale.
Sì, per arrivare a far sentire gli spettacoli a chi è impossibilitato a raggiungerci, un portale con interviste e filmati, ma pure fiabe per bambini che le mamme potranno scaricare per addormentarli. Queste sono solo alcune delle nostre iniziative fuori dal teatro.
Come vi confrontate con le altre realtà culturali della città?
Condividiamo tutte questo invito a uscire dai nostri confini e a mettere in dialogo le nostre istituzioni. Con il Teatro Massimo, infatti, abbiamo aperto una convenzione per questa stagione: chi ha un abbonamento da una parte, ha il 30% di sconto sull’abbonamento dall’altra parte. Oppure il 20% di sconto sui singoli biglietti.
E fuori Palermo?
Si comincia a fare rete. Vogliamo costituire una rete di teatri per favorire le distribuzioni più importanti. Per un teatro di provincia sono costi altissimi far venire una compagnia, con le scenografie che devono viaggiare per nave, gli artisti che viaggiano in aereo. Se si uniscono più teatri, invece, è tutto molto più facile. Abbiamo già cominciato la collaborazione con Enna, Caltanissetta e Marsala. E contiamo di aprirla ad altre città.
Entriamo negli spettacoli di questa stagione. Del territorio si valorizzano i talenti, ma soprattutto il racconto che ne fanno i grandi artisti.
Parlare di teatro del territorio significa certo parlare di Pirandello, in cartellone ci sono “I Giganti della Montagna” o “Sei”, adattamento di “Sei personaggi in cerca d’autore”, oppure significa parlare di quello che accade oggi come vedremo in “La classe”, che è uno spettacolo che nasce da tremila lettere scritte da studenti e professori delle scuole di periferia, dove c’è un grande problema di integrazione. E poi l’ultimo spettacolo della stagione, che è dedicato alla comunità bengalese di Palermo. E da maggio che raccogliamo interviste e Daniela Morelli ha cominciato a scrivere il testo. Adesso c’è già il primo tempo e… verrà uno spettacolo delizioso e divertentissimo.
Confrontando il programma con gli anni passati, a mancare è la storica drammaturgia palermitana: Michele Perriera, Franco Scaldati ...
Non si possono fare tutti, tutti gli anni. Quest’anno avremo un ricordo di Sciascia e ci sarà l’anno prossimo una grossa produzione di Scaldati che girerà l’italia.
Resta ancora aperta la proposta di cambiare il nome della Sala Strehler e sostituirlo con quello di Franco Scaldati?
La sala Strehler non si cambia. Tanto le sale sono in aumento, adesso c’è stato dato in gestione anche il Teatro Montevergini. Il 6 dicembre, prima della rappresentazione dei “Giganti della montagna”, apriremo la Sala Guicciardini, che si troverà sotto la Sala Strehler. Possiamo dire che il Biondo è dedicato ai registi. E magari dedicheremo le sale del Montevergini agli scrittori.
Vorrei finire questa nostra conversazione chiedendole che ruolo continua ad assumere oggi il teatro e la sua azione nella nostra società. Perché troppo spesso sembra solo uno spazio fuori dal tempo e lontano da tutti.
La cultura incide. E quando non incide è un disastro. Fenomeni “alla Trump” sono dovuti a una grande ignoranza di ritorno. Alla prima risposta facile, si torna indietro. Invece il pensiero si deve riabituare alla complessità. In questi anni però la cultura, secondo me, ha avuto il grave torto d'essere andata per conto suo e di essersi dimenticata che si deve rapportare alla gente, che deve arrivare alla gente. Perché altrimenti è inutile, è soltanto un'attività solitaria. L’artista deve avere come interlocutore le persone, il che non vuol dire fare cose banali, ma vuol dire fare cose di qualità che siano fruibili. E aiutare il pubblico a crescere. All'inizio sarà poco, e poi si procederà in modo sempre più elaborato. Se noi continuiamo ad andare su una strada lontana dalla società, non facciamo un buon servizio a nessuno. Un ente pubblico, come un teatro, una biblioteca, una sala concerti, non può prescindere dal fatto che abbia un compito educativo.