Oggi si chiude il nostro speciale su Leonardo Sciascia. Siamo grati di concludere il nostro lavoro pubblicando uno dei ricordi di Nino De Vita contenuti nel libro fotografico di Angelo Pitrone, «Leonardo Sciascia. Quasi guardandosi in uno specchio» (Salvatore Sciascia Editore, 2019). Il libro lega alcuni emozionanti ritratti fotografici dell’eretico di Racalmuto a un saggio di Salvatore Ferlita sui rapporti tra Sciascia e la fotografia e ai ricordi personali di Nino De Vita, che fu amico di Sciascia per più di vent’anni.
di Nino De Vita
Guido la macchina lungo la strada a scorrimento veloce che da Agrigento porta a Palermo.
È la sera del 22 novembre del 1989.
Accanto ho Vincenzo Consolo; dietro siedono Caterina, che è la moglie di Vincenzo, e Donatella Barbieri.
Torniamo dal piccolo cimitero di Racalmuto, dove abbiamo lasciato la salma di Leonardo
Sciascia deposta, in modo provvisorio, nella cappella gentilizia dei Carugno-Sicurella.
Il buio ha cominciato ad annerire il cielo e la terra, i paesi che andiamo attraversando hanno qualche piccola luce.
Vincenzo racconta dell’incontro con Sciascia, a Caltanissetta, dopo l’uscita de La ferita dell’aprile, il suo primo libro.
Anche io racconto del mio incontro con Sciascia, a Palermo, nella casa dei coniugi Sellerio.
Avevo diciannove anni.
Le donne, interessate, ascoltano. Guardo dallo specchietto retrovisore Caterina: in chiesa, durante il funerale, stretta al mio braccio, non la finiva di piangere.
Chiede la signora Barbieri, a noi che l’abbiamo frequentato, come era Leonardo, l’amico Leonardo.
Io dico che è difficile, con poche parole, racchiudere la sua personalità. “Era un uomo intelligente, coltissimo, questo è certo, si sa; e, per quanto l’ho conosciuto, onesto: davanti agli uomini e davanti alla scrittura”.
“Abbiamo, nella nostra vita, incontrato un grande” conferma Vincenzo. “Raramente accade di incontrare un uomo così grande”.
Giro il volto verso i miei compagni. “Sapete” confido “che quanto il Vescovo oggi ha detto dall’altare risponde a verità. Davvero le conversazioni con Leonardo, negli ultimi mesi, avevano a che fare con il mistero della vita, della morte. Meditava la frase di Pascal: «Tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato». A me più volte, disteso nel suo letto o seduto – nella camera: in una poltroncina accanto alla finestra – disse che questa frase batteva, insistente, nella sua mente”.
“È probabile che stesse cercando Dio” dice Caterina.
“Non so” le rispondo “se questo si possa affermare. Ma credo ci fosse in lui una continua tensione in questo senso. L’ossessione che aveva nei riguardi del problema della giustizia è una dimostrazione, se vogliamo, del suo sentire «cristiano»”.
Incrociamo le macchine, che abbassano e innalzano gli abbaglianti, lunghe file di luci che un poco disturbano gli occhi; resta, nei momenti di buio, la sola luce dei fanali che proietta la mia macchina sull’asfalto.
“Quante cose, quante cose...” mi ripeto, interrompendo quei momenti di accorato silenzio. “E il desiderio ho – ne sento, si può dire, l’esigenza -, cercando anche nei miei diari, di ricordare i fatti importanti che sono capitati stando vicino a lui, i particolari più cari”.
La circonvallazione è intasata di macchine, suonano, hanno fretta, troppa fretta per noi che stiamo piano piano tornando, sorpassano la mia macchina da destra e da sinistra. È un traffico dove adesso so districarmi bene; i primi giorni che venni a Palermo questa frenesia un po’ mi intimidiva.
Sostiamo, all’Aeroporto di “Punta Raisi”: dobbiamo aspettare ancora per il volo che porterà i miei tre compagni di viaggio a Milano.
Caterina e Vincenzo si allontanano, li vedo entrare nel negozietto vicino all’edicola. C’è poca gente a quest’ora. I due camerieri, dietro il bancone del bar, si rimandano battute, scherzano, spintonandosi.
Distendo allora le spalle sullo schienale della poltrona e alzo lo sguardo al tetto, socchiudo gli occhi. Mi viene lucidamente da considerare che ho perso un amico, l’amico che è stato importante nella mia vita e mi pare si apra come un vuoto adesso dentro le mie abitudini. Avevo ancora bisogno di Leonardo. La solitudine ora, in questa estremità dell’Italia, in questo spigolo di Sicilia…
La signora Barbieri, che mi siede accanto, spezza questo mio doloroso vagare.
“Lei è stanco, non è vero?” chiede.
Apro gli occhi e mi ricompongo, penso sono stato poco cortese a distaccarmi così da lei. Ma che posso dirle, adesso?
“Stanco, sì” le rispondo.
Tornano Vincenzo e Caterina, hanno comprato due confezioni di Zagara Zuma.
“Quando passo da qui” dice Vincenzo “lo prendo sempre”.
Offre il profumo alla signora Barbieri; e a me, per portarlo a Giovanna.
Ci salutiamo.
Io rimango ancora un poco, a guardare l’aereo che decolla; dopo avvio la macchina, lentamente guido per ritornare a Cutusìo e un paio di volte mi fermo. La sera, come spesso in autunno accade, ha una chiarìa di stelle.
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La foto di anteprima dell'articolo, dei funerali di Leonardo Sciascia, è di Tony Gentile ©