“ E penso a quell’inutile fortino della difesa costiera, antistante la Villa Genna, che si era trasformato in squallida cabina di calcestruzzo dove le donne del contado si denudavano per indossare le prime improvvisate tenute balneari, lontane un abisso dai futuri costumi a due pezzi. La ragazza che si spogliava era assistita immancabilmente dalla madre che, controllando che nessuno transitasse sulla strada prospiciente il fortino, dava il via al furtivo spogliarello. Davanti al fortino aperto a tutti i venti, oltre alla strada litoranea, si trovava il muro di pietra a secco che
recintava la peschiera interna alla Villa Genna.
L’operazione che doveva garantire la privacy dello spogliarello, soltanto apparentemente era garantita dalla madre guardiana; di fatto la ferrea tutela del pudore veniva violata proprio attraverso quel muro di pietra a secco nel quale noi ragazzi, asportando alcune pietre, avevamo praticato un foro in corrispondenza all’ingresso del fortino. Dietro quel muro, noi ragazzi facevamo a gomitate per vedere lo spettacolo che eccitava i nostri sensi in quell’epoca di copertura del corpo quasi talebana.
Il più basso di noi, Peppe, anche perché più piccolo di età, quando gli toccava traguardare attraverso il prezioso foro, non riusciva a trattenere l’espressione a voce contenuta; - Matri mia, soccu vitti! Caro Stagnone, da oltre ottant’anni ti porto nel cuore e in fondo all’anima!”.
Elio Piazza