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03/02/2020 06:00:00

La storia di Salvatore Giordano, in carcere con un tumore e mai portato in ospedale

 “Mio marito stava male, sempre peggio, eppure non è stato mai portato in ospedale. Dicevano che aveva il fegato ingrossato e lo curavano solo con una dieta specifica, leggera e senza fritture e con della tachipirina, quando c’era. Il medico diceva che le sue non erano condizioni da ricovero in ospedale. Purtroppo mio marito è morto il 2 gennaio 2020, dopo qualche giorno di ricovero all’ospedale di Voghera, dove, mi è stato detto invece che aveva un tumore ed era pieno di metastasi”.

 Chi parla del calvario del marito e del suo tragico epilogo di appena un mese fa, è la moglie di Salvatore Giordano, 54 anni, palermitano, padre di due figli e nonno di tre nipotini. L’uomo si trovava in carcere da due anni e sei mesi, era stato arrestato a Palermo il 19 luglio del 2017 con l’operazione “Mare Dolce 1”. E’ stato per quattro mesi rinchiuso in carcere nel capoluogo, poi trasferito a Trani per un mese e poi a Voghera. La moglie era andata a trovarlo l’ultima volta il 13 novembre, poi la condizione fisica è drammaticamente peggiorata a dicembre.

L’ho sentito il 22 dicembre al telefono per la chiamata settimanaleci racconta la donna -. Mio marito dalla voce era molto strano e si percepiva che stava male. Impauriti, io e mio figlio partiamo all’indomani. Arrivati alle porte del carcere di Voghera chiediamo notizie ma non ci danno informazioni, solo dopo vari solleciti e vedendo che non cedevamo ci hanno detto di fare il colloquio l’indomani. Nonostante le mie proteste non c’è stato niente da fare, vado via a dormire a casa di mia sorella e solo allora, in serata, veniamo a sapere che lo hanno portato in ospedale”.

La vigilia di Natale i familiari hanno trovato Salvatore Giordano in condizioni devastanti. Non riconosceva nessuno, diceva qualche parole senza senso, magrissimo, pieno di macchie cutanee rosse, con le unghia lunghissime e munito di un pannolino: ha il tumore al fegato di grosse dimensioni con tanto di metastasi. Parlando con un medico dell’ospedale, i familiari hanno appreso che la situazione era già compromessa da diverso tempo e l’aggravamento non era di certo avvenuto nelle poche ore di degenza in ospedale. A quel punto la moglie e il figlio hanno sporto denuncia a carico dell’amministrazione penitenziaria del carcere di Voghera, per eventuali negligenze nella cura.

Abbiamo saputo che mio marito all'interno del carcere veniva aiutato da altri detenuti - continua nel suo racconto la donna - e che questi hanno fatto anche delle proteste, affinché venisse portato in ospedale, ma le richieste dei compagni di carcere non sono mai state ascoltate. Dopo che hanno fatto una tac ci hanno dato conferma del tumore al fegato, abbiamo anche presentato istanza di scarcerazione in quanto non era più idoneo al carcere e ci hanno risposto che doveva vederlo un dottore inviato da Palermo per certificare il tutto, ma che poteva venire a Voghera da giorno 8 gennaio in poi. Purtroppo mio marito è morto il 2 gennaio senza poter essere scarcerato”.

La storia di Salvatore Giordano neanche dopo la morte è semplice. Una funzionaria dell’amministrazione penitenziaria dice alla moglie che devono eseguire l’autopsia su corpo del marito.

Dopo appena un’ora dalla morte si portano via la salma. "Sembrava una retata - ci dice la moglie - e lo trasferiscono a Pavia". Il corpo è stato poi consegnato alla famiglia il 13 gennaio, che a proprie spese lo ha poi portato da Pavia fino a Palermo. Ad oggi, nonostante le richieste fatte dall’avvocato della famiglia Giordano, non è ancora avvenuta la consegna della cartella clinica né tantomeno l’esito dell’autopsia.

La moglie di Giordano chiede giustizia per suo marito, per i suoi figli e i nipoti per cui Giordano stravedeva. Denuncia anche il fatto che il marito nel periodo detentivo era stato trovato con due ematomi interni, due lividi ai fianchi e alcune strisce nere alle gambe.

La vicenda di Giordano è stata denunciata e resa pubblica anche dall’associazione Yairaiha Onlus. “Purtroppo - afferma Sara Berardi, presidente dell’associazione Yairaiha - la storia di Salvatore Giordano non importerà a nessuno. Non ai responsabili, non alla stragrande maggioranza della società. Era un detenuto, qualcuno che ‘qualcosa aveva fatto per essere lì’, un uomo che per lo Stato non aveva più diritto di essere curato. Importerà alla sua famiglia, a noi e pochi altri. E non ci arrenderemo mai di fronte a questa barbarie; continueremo a lottare anche per lui".

Qualsiasi reato o crimine commesso, non giustifica quello che è accaduto. La vita di ogni uomo deve essere rispettata e tutelata sempre, fuori e dentro ad un carcere. Se così non avviene, se così non è avvenuto nel caso di Salvatore Giordano, qualcosa sicuramente non ha funzionato nelle fondamenta della vita democratica e civile del nostro Paese. Quello alla salute e all’assistenza sanitaria è un diritto fondamentale di tutti gli uomini.