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29/03/2020 13:15:00

"Cosa ci insegna il Coronavirus?"

 Le note vicende di questi giorni, relative al coronavirus, ci gettano in un mare di ansie e di insicurezze, ci fanno capire quanto il mondo di oggi, il mondo in cui viviamo, sia fragile. Tutte le nostre certezze, o presunte tali, rischiano di essere stravolte in un battibaleno. Questo virus, mette a dura prova tutte le nostre convinzioni e ci impone comportamenti ed atteggiamenti responsabili.


Speriamo intanto che si riesca, da qui in avanti a contenerne gli effetti, ma questo dipende da noi, da quei comportamenti ed atteggiamenti di cui sopra, e poi, quando sarà alle spalle, ci auguriamo presto, speriamo che ci abbia insegnato ad essere più consapevoli di cosa significa vivere in comune, il vivere civile, il vivere insieme agli altri. La nostra sicurezza, la nostra stessa vita, dipende dai comportamenti di tutti e lo vediamo in questi giorni. Siamo tutti sulla stessa barca e quando tutto va bene non ci pensiamo, ce ne accorgiamo soltanto in questi momenti.

 

Ma appunto, cosa ci sta insegnando questo virus? Chi di noi potrà raccontarlo, cosa avrà imparato da esso?


Me lo sono chiesto in questi giorni. Avremo un mondo migliore oppure no?


Beh, questo virus di cose ce ne potrebbe insegnare tante, a ben vedere

 


Questo virus ci insegna, quanto abbiamo bisogno di competenza, di persone giuste al posto giusto, di persone che facciano semplicemente bene il loro lavoro, in ogni circostanza, nell'emergenza, come in questi giorni, ma anche nella quotidianità. In tempi normali, troppo spesso, a mio giudizio, diamo ascolto ad improvvisati guru, a tuttologi che sembrano sapere tutto di tutto, a persone che al massimo hanno letto qualcosa su internet e si ergono a conoscitori o ad esperti.

 


Questo virus sta forse mettendo a nudo, a mio modesto avviso, la pochezza dei populismi e sovranismi vari, sta forse mostrando la vacuità di coloro che in tempi normali, vogliono prospettarci soluzioni apparentemente facili a problemi che invece sono complessi e non si risolvono con un semplice schiocco delle dita, ed in questo modo, costoro ottengono facili consensi, anche elettorali, salvo poi non affrontare davvero i problemi. Abbiamo visto per esempio, cosa è successo in Gran Bretagna, con l’iniziale presa di posizione, le iniziali dichiarazioni avventate, la volontà di affidarsi alla cosiddetta “immunità di gregge” e poi il precipitoso dietro-front.

 


Questo virus, che non guarda in faccia nessuno, che non si ferma alle frontiere, che sta colpendo tutto il mondo, ci dovrebbe anche insegnare che determinati problemi, (immigrazione, terrorismo, cambiamenti climatici, ecc.), in un mondo globalizzato ed interconnesso, devono essere necessariamente affrontati su base sovranazionale, ed invece, ancora oggi, leggiamo di forti contrasti circa le politiche e le strategie per affrontare quelle che saranno le conseguenze economiche.


Fin quando si è parlato di bloccare il patto di stabilità o di consentire aiuti di Stato, bene, ma nel momento in cui si è invece parlato dei coronabond, quindi di fare un qualcosa come Europa tutta, di metterci la faccia ed il portafoglio tutti, sono emersi i soliti nazionalismi (forse sarebbe meglio dire egoismi) dando al mondo ancora una volta un immagine di un Europa divisa, lenta, impacciata, anche davanti ad una tragedia come quella che sta imperversando.


Ancora oggi in qualche istituzione europea qualcuno pensa a qualche meccanismo di “condizionalità”. Una bella parola per dire che eventuali aiuti dovrebbero essere poi condizionati al rispetto di determinati percorsi che rischierebbero poi, di mettere davvero i paesi beneficiari di questi aiuti, con le spalle al muro (vedasi esempio greco).


Ci si è dati un tempo di 14 giorni per decidere, un tempo che sembra un eternità di fronte all’avanzare della pandemia.

 


Questo virus ci sta insegnando forse a dare maggior peso alle cose che spesso tendiamo a sottovalutare in tempi normali, come le relazioni familiari ed affettive, forse quelle che contano più di tutte. Ci sta costringendo tutti a casa. Magari in maniera un po’ forzata, ci fa riscoprire il “valore” dello “stare a casa”, con i propri cari. Non dimentichiamo però chi lavora, chi in questi giorni, continua ad assicurare con il proprio lavoro che la baracca possa comunque non fermarsi.

 


Sull’economia questo virus avrà e sta già producendo, effetti devastanti. Inciderà tantissimo, a mio avviso, anche sull’organizzazione del lavoro. Alcuni processi che erano già in atto nelle aziende (digitalizzazione, smart working, ecc) subiranno un accelerazione forse decisiva.


Sempre riguardo all’economia questo virus ci sta mostrando, in maniera stridente, il contrasto fra le esigenze di business, le esigenze del mondo capitalistico, e le istanze di ordine etico ed umano. Qualche anno fa il Papa ha parlato di un “economia che uccide”, oggi assistiamo a capi di Stato che dicono che il proprio Paese “non si può fermare”, lasciando chiaramente intendere che poco importa se questo provocherà qualche decina di migliaia di vittime in più, magari in qualche favelas o in qualche slum, dove vivono soltanto dei disperati di cui a nessuno importa.

 

In conclusione cosa dire, spero davvero, che possiamo tornare ad abbracciarci come prima e che possa esserci restituita la libertà di muoverci liberamente, di andare “ ndò ce pare”, come ha detto un notissimo attore nazionale in questi giorni, temo però che quando sarà finita, non ci avrà insegnato niente.

 

 


Pippo Lauricella