Un lungo Consiglio dei ministri ha raggiunto l’intesa sul pacchetto liquidità da dare alle imprese. Saranno in tutto 750 miliardi, 400 miliardi col nuovo decreto legge che si sommano ai 350 già previsti nel Cura Italia.
Confermati i prestiti garantiti al 100% dallo Stato per le piccole e medie imprese fino a 499 dipendenti. Partite Iva e micro imprese possono chiedere il 25% del proprio fatturato fino a un tetto massimo di 25mila euro senza nessuna valutazione da parte della banca.
Le medie imprese potranno ottenere anche 800mila euro. Chi ne chiede di più sarà coperto solo al 90% con valutazione della banca del merito creditizio.
Per le imprese più grandi, quelle con più di 500 dipendenti, la garanzia sarà prestata da Sace, la società che fino ad oggi si è occupata di assicurare le esportazioni. Inoltre: imprese e partite Iva che hanno perso fatturato a marzo non dovranno versare tasse e contributi ad aprile e maggio.
Con tutti gli accorgimenti richiesti dall’epidemia, ieri hanno ripreso le attività l’Arcelor Mittal di Genova e le Acciaierie di Terni.
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Per i sindacati sono almeno 10 milioni i lavoratori colpiti dalla crisi. L’Inps ha fatto sapere che finora sono arrivate 3,5 milioni di domande per 6,8 milioni di prestazioni.
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Sulla Stampa Mattia Feltri fa notare che, mentre il governo approva il Cura Italia 2, il Parlamento s’appresta a discutere gli emendamenti al Cura Italia 1, che sono 1.021, contenuti in cinque volumi per un totale di quasi mille e cinquecento pagine. «Come dice saggiamente l’ex ministro Giulio Tremonti, è piuttosto sconfortante lo squilibrio fra i tempi dell’urgenza e la quantità degli emendamenti: il lavoro non si concluderà prima di metà maggio. Per carità, sarà tutto importantissimo, ma per darvi l’idea ecco un emendamento fra i mille: “Dopo il comma 5 inserire il seguente "All’articolo 1, della legge 27 dicembre 2019, n.160, il comma 147 è sostituito dal seguente: le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001…”».
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A poche ore dalla riunione dell’Eurogruppo, ieri nella sua conferenza stampa, il premier Giuseppe Conte ha ribadito il suo «no» all’ipotesi Mes e ha rilanciato come prospettiva italiana quella dei coronabond. «Un eventuale “sì” italiano arriverebbe comunque solo se l’Eurogruppo accetterà di inserire nel ventaglio delle opzioni, oltre a Mes e Bei, anche forme di debito comune come il Recovery Fund proposto nei giorni scorsi dalla Francia» scrive Il Sole 24 ore.
Secondo Giuseppe Vita, che ha guidato Schering e Axel Springer: «La Germania non farà a meno dell’Italia e dirà sì ai solidarity bond»