Due ufficiali dei carabinieri sono stati ascoltati nel processo che davanti il Tribunale di Marsala vede imputato l’ex sindaco Dc di Castelvetrano Antonio Vaccarino per concorso in rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale con l’aggravante per mafia.
Si tratta dell’ex colonnello del Ros Giuseppe De Donno, che due anni fa è stato condannato a 8 anni di reclusione dalla Corte d’assise di Palermo nel processo per la cosiddetta “trattativa Stato-mafia”, e il tenente colonnello Marco Alfio Zappalà, coindagato con Vaccarino, ma che ha scelto il processo abbreviato davanti al gup di Palermo e per il quale i pm hanno invocato la condanna a 5 anni di carcere.
Secondo l’accusa, Vaccarino avrebbe ricevuto da Zappalà, che era in servizio alla Dia di Caltanissetta, uno stralcio di una intercettazione e l’avrebbe girata a Vincenzo Santangelo, titolare di un’agenzia funebre già condannato per mafia.
Zappalà è accusato di rivelazione di notizie riservate mentre l’appuntato Giuseppe Barcellona, che ha chiesto di patteggiare, di accesso abusivo al sistema informatico.
“Non ho memoria di aver inviato a Vaccarino la mail che mi viene contestata – ha detto Zappalà - e quando l’ho ricevuta non l’ho ritenuta un atto riservato, altrimenti avrei scritto una relazione di servizio. Ho ricevuto spontaneamente la mail da Barcellona che però si premurò di tagliare ogni tipo di riferimento a dati riservati: erano otto screenshot ricevuti su whatsapp. Nel corso dell’indagine non è stato accertato da quale indirizzo Ip provenisse quella mail, la prova viene da lì, la schermata è soltanto un indizio. Dopo dodici mesi è impossibile accertarlo perché il dato viene cancellato dai provider di pertinenza”.
Nella telefonata trascritta e transitata dai server dei carabinieri al cellulare di Zappalà si parlava anche della latitanza di Matteo Messina Denaro. “Si, perché in quei giorni c’erano degli articoli stampa in cui Teresa Principato, a quel tempo procuratore aggiunto alla Dda di Palermo, disse 'per noi Messina Denaro quasi sicuramente è in Brasile' e i due mentre parlano dicono 'ti dico io dov'è, in Russia'", ha detto l’ufficiale della Dia. In effetti, però, quella parte non fu mai ricevuta da Vaccarino: “Nego assolutamente che Vaccarino mi abbia chiesto documenti riservati. E’ vero, invece, che io ho ricevuto diversa documentazione da parte sua”. Tuttora è pendente davanti al Tribunale di Catania l’istanza di revisione della sentenza per cui Vaccarino fu condannato definitivamente per traffico di droga. “Lui – ha continuato Zappalà - era interessato alla revisione della sentenza per cui fu condannato negli anni novanta (blitz Palma del 1992), noi cercavamo notizie sulla responsabilità del noto Messina Denaro alla preparazione delle stragi palermitani attraverso l'indicazione di una serie di testimoni oculari e non indicati da Vaccarino”. Circostanza confermata anche dal procuratore aggiunto Gabriele Paci, che nella precedente udienza aveva riferito di accertamenti affidati al tenente colonnello della Dia, in seguito alle segnalazioni dell’ex primo cittadino di Castelvetrano. “Vaccarino mi è stato presentato dal pm Paci in Procura a Caltanissetta – ha affermato l’ufficiale della Dia nissena - oltre al pm Paci anche il mio capocentro era informato delle mie indagini. La conoscenza è avvenuta nell’ufficio del dottor Gabriele Paci (procuratore aggiunto di Caltanissetta), Vaccarino stava rilasciando delle dichiarazioni spontanee e al termine di quel verbale fui delegato per svolgere alcuni accertamenti”.
Per la Dia, e su delega della Procura di Caltanissetta, Zappalà ha svolto alcune indagini poi confluite nel processo, tuttora in corso, in cui il latitante Matteo Messina Denaro è imputato quale mandante delle Stragi di Capaci e via d’Amelio. “Ho svolto un lungo elenco di accertamenti – ha detto l’ufficiale dei carabinieri – per un totale di sei deleghe in tre anni e sono andato tredici volte a Castelvetrano, sempre in coppia con un collega e l’unica volta che sono andato a casa di Vaccarino è perché era stato operato ad un ginocchio. Quella fu l’unica occasione in cui non ero in compagnia di un collega e in quella circostanza è accaduto l’invio della falsa email”. Il riferimento è all’email che secondo la Dda di Palermo l’ufficiale avrebbe inviato il 7 marzo 2017 a Vaccarino, nella quale erano contenuti gli sfoghi di due persone all’epoca indagate per mafia, in cui si parlava del funerale di Lorenzo Cimarosa, cugino acquisito di Messina Denaro, poi divenuto collaboratore di giustizia e morto per cause naturali nel gennaio 2017.
L’ex colonnello De Donno ha, invece, parlato della collaborazione di Vaccarino con i Servizi segreti che aveva come obiettivo la cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro. “Vaccarino – ha dichiarato De Donno, ascoltato in videoconferenza - aveva conquistato la fiducia di Messina Denaro”. Tra il 2004 e il 2006, l’ex sindaco di Castelvetrano intrattenne una corrispondenza con il boss sotto la copertura del Sisde. Per il latitante, che si firmava Alessio, l’ex primo cittadino era stato ribattezzato Svetonio. “Attraverso Vaccarino non volevamo soltanto catturare Matteo Messina Denaro – ha detto l’ex ufficiale del Ros - ma era nostro interesse indagare anche sulla latitanza di Bernardo Provenzano e soprattutto ricostruire tutti i canali di riciclaggio su cui potevano contare all’estero.
La collaborazione di Vaccarino divenne nota proprio in seguito all’arresto di Provenzano, avvenuta nell’aprile 2006 a Montagna dei Cavalli. Nel covo di Provenzano furono sequestrati, infatti, i pizzini inviati da Messina Denaro, in cui parlava di Vaccarino, indicandolo come Vac. “Non è facile entrare in contatto con un latitante del genere, anche perché lui stesso prima di rispondere si consultava con Provenzano, come è emerso dai pizzini trovati nella sua masseria” ha aggiunto il colonnello. "Potevamo prendere Messina Denaro? Non so dire, ma tre giorni prima che Provenzano fosse arrestato, Vaccarino incontrò un suo nipote e questo ci lasciava sperare per l'arresto di entrambi". “Sin dal primo momento fu informata la Procura, ma non riferimmo mai il nome della fonte Vaccarino al dottor Grasso (Pietro Grasso, all’epoca a capo della Procura nazionale Antimafia dopo aver coordinato la Procura di Palermo), ma dopo l’arresto di Provenzano ci disse di consegnare tutto alla polizia, credo che Grasso si interfacciasse con il dottore Giuseppe Pignatone (reggente della Procura dopo la nomina di Grasso ai vertici dell’Antimafia ndr)”. In seguito al ritrovamento dei pizzini Vaccarino finì indagato dalla Dda di Palermo, ma poi fu chiesta l’archiviazione straordinariamente controfirmata da tutti gli aggiunti e i sostituti, oltre che dal procuratore capo Francesco Messineo, che da poco si era insediato. Durante il suo interrogatorio De Donno ha riferito anche che “Messina Denaro stava iniziando ad aprirsi e questo faceva pensare a una cattura, tanto che aveva segnalato l’imprenditore a cui dovevamo fare riferimento, che è tale Rosario Cascio, poi arrestato negli anni seguenti”. Lo scorso anno, però, la Cassazione ha annullato la condanna a 9 anni di carcere inflitta in appello a Rosario Cascio.
Alle domande dei pm della Dda di Palermo (in aula i sostituti procuratori Francesca Dessì e Pierangelo Padova) il colonnello De Donno ha precisato: “In piu di un’occasione abbiamo valutato la credibilità della fonte Vaccarino, prima di iniziare la corrispondenza ci sono stati degli incontri e poi ci siamo fidati. Ad ogni scambio di pizzini ci limitavamo a segnalare chi li riceveva o li consegnava, ma non abbiamo risalito l’intera filiera per non rischiare di far saltare tutto”.