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06/07/2020 06:00:00

Riparte il festival delle Orestiadi. Alfio Scuderi: "Gibellina simbolo di rinascita"

di Marco Marino 

Quando Baldo Carollo chiese a Ludovico Corrao, anima e demiurgo di Gibellina nuova, perché avesse pensato di chiamare il suo progetto con lo strano nome di “Orestiadi”, lui subito rispose: «Oreste! L’ordine nuovo, una fondazione, una ricerca di valori». Tra i principali protagonisti del mito e della tragedia greca, Oreste è l’uomo che con le sue azioni riesce a sconvolgere le leggi degli uomini e le leggi degli dei, e a fondare, come diceva il senatore Corrao, un «ordine nuovo» sulla terra. Ecco, l’impressione che da trentanove anni si percepisce è che il senatore Corrao sia stato in grado di imprigionare lo spirito di quel gesto fondativo, che ogni anno si rinnova, riaccendendo utopie e sogni. «Lì dove nascono i sogni», infatti, si intitola l’edizione del festival di quest’anno che dal 17 luglio all’8 agosto animerà gli spazi della città e del Cretto di Burri. «Il teatro cerca sempre un ordine nuovo», ci dice il direttore artistico del festival, Alfio Scuderi, «cerca sempre un nuovo modo, un linguaggio nuovo, per rinascere. Con la Fondazione Orestiadi, abbiamo sentito l’esigenza di ripartire. Non era scontato, dopo l’emergenza della pandemia. Vogliamo restituire alla rassegna un rapporto più profondo con il nostro territorio e con i tanti artisti siciliani che rappresentano la nostra visione costitutiva. Ci sembra che le idee di Ludovico Corrao, e le sue scelte, e soprattutto le sue utopie - che l’arte e la cultura possano e debbano influenzare, cambiare, migliorare il mondo - oggi siano ancor di più attuali e necessarie. E Gibellina, ancora una volta, si fa simbolo di queste idee, di queste utopie».

Nei giorni passati Scuderi ha sottolineato che la sua non sarà una rassegna di eventi d’emergenza, ma per l’emergenza. «Nel momento in cui ho dovuto rimodulare il programma, rivedendolo alla luce di tante necessità, non mi sono lasciato vincolare dall’emergenza che stiamo attraversando. Né per i numeri né per i contenuti né per le idee. Il teatro, però, svolge un ruolo, un ruolo sociale di elaborazione e condivisione dei pensieri e dei sogni. E la rassegna che presentiamo guarderà all’emergenza, senza esserne condizionata. L’edizione del 2020 non sarà un festival ridotto, che si adegua, si abbassa, si contrae. Saranno ancora le nostre Orestiadi, mosse dall’istanza di affrontare questo terribile periodo». Si ferma un attimo, e poi prosegue: «Non dimentichiamoci di dire una cosa: noi stiamo ripartendo, le Orestiadi le facciamo. Ma moltissimi teatri, moltissimi artisti continuano a restare fermi. A loro è dedicato il nostro lavoro».

La crisi che sta attraversando il mondo dell’arte oggi sembra quasi irrisolvibile: in Sicilia è ancora possibile progettare un futuro artistico? Come lo immaginano le Orestiadi di quest’anno? «Penso di sì, penso che le possibilità per un futuro artistico in Sicilia ci siano. Lo dimostra la grande quantità di incredibili artisti siciliani. Come ho scritto, questo festival poggia su tre colonne, un po’ come la nostra isola, e queste colonne sono: il sogno, il cinema e la Sicilia. Il sogno plasma tutto, il sogno è il teatro; a seguire la traccia dei sogni, si arriva al cinema, e se si parla del binomio sogni e cinema, si sta già pronunciando il nome di Federico Fellini, di cui quest’anno ricorrono i cento anni dalla nascita. La Sicilia, infine, è la nostra identità, che si modella grazie alla voce dei suoi autori. Grandi maestri come Leonardo Sciascia o narratori contemporanei, come Vincenzo Pirrotta, Gaspare Balsamo e Davide Enia, i nuovi cuntisti, preziosi traghettatori della tradizione orale. Ma Sicilia è anche Roy Paci, Sicilia è anche Alessio Vassallo, Filippo Luna, Sicilia è Gianni Gebbia. La nostra isola è una fucina inesauribile di grandi talenti. Le difficoltà di questo territorio, è evidente, non mancano. Le conosciamo, ci conviviamo quotidianamente. Quando mi chiedono come va, con la crisi dei teatri, io rispondo: sai, noi abbiamo già fatto il Vietnam. Noi artisti siciliani siamo abituati a resistere alle difficoltà, ad arrangiarci, a resistere e a rilanciarci in questo perenne tempo di crisi. Abbiamo l’emergenza nel nostro codice genetico, quindi significa che possediamo anche i mezzi per superarla».

Un’ultima domanda, che richiama i temi del futuro e dell’emergenza, per le Orestiadi un teatro digitale, in streaming, sui social, è contemplabile? «Il teatro non può essere digitale. Il teatro si vive solo dal vivo e non si può riproporre digitalmente. Credo che la realtà digitale sia un ottimo mezzo per il teatro, se viene sfruttata per la sua promozione e per la sua diffusione. Sono stato assolutamente contrario a questo uso per la messa in onda di spettacoli, tant’è vero che noi, di queste letture in ciabatte da casa, non ne abbiamo fatte. Attenzione, bisogna rispettare le idee e i progetti di tutti. Ma non le condividevo perché molte di queste operazioni fatte sul web non hanno mantenuto alcun tipo di qualità. Noi parliamo sempre di bellezza, il nostro prodotto artistico parte dalla bellezza del contenuto e delle sue forme. Il prodotto digitale, se è un prodotto immaginato per il digitale, costruito per il digitale e costruito bene, allora può diventare non un prodotto alternativo ma qualcosa che si affianca allo spettacolo. Mai un prodotto alternativo. Se invece semplici riprese vengono sbattute e svendute online, non posso essere d’accordo. Non lo farò mai e invito i miei colleghi a non farlo. Perché non aiuta la nostra professione. Se noi prendiamo le cose e le sbattiamo sulla rete senza dare loro importanza, screditiamo la nostra professione e il senso dell’arte stessa».