Sono state le riduzioni di pena per i fratelli Loretta (difesi dagli avvocati Luigi Pipitone e Walter Marino) le uniche modifiche apportate dalla Corte d’appello di Palermo alla sentenza con cui, l’8 marzo 2018, il gup di Palermo Maria Cristina Sala condannò, in abbreviato, undici delle 13 persone coinvolte nell’operazione antimafia “Ermes 2”.
L’indagine, condotta dalla polizia, il 20 dicembre 2016, sfociò nell’arresto, a Mazara, di Epifanio Agate (nella foto) 46 anni, figlio del defunto boss mafioso Mariano Agate, dei fratelli Carlo Antonio e Giuseppe Loretta, di 53 e 39 anni, e di Angelo Castelli, di 74.
Solo ai due fratelli Loretta è stata contestata l’associazione mafiosa, mentre ad Epifanio Agate l’estorsione aggravata dal metodo mafioso e l’attribuzione fittizia ad altri di quote delle società “My Land” e “Fishmar” per evitarne la confisca da parte dello Stato. Agate, però, fu assolto dal gup Sala dall’accusa di estorsione e condannato per l’intestazione fittizia (tre anni e 8 mesi). Sempre in primo grado, le pene più severe furono per i fratelli Loretta, condannati sia per associazione mafiosa che per attribuzione fittizia ad altri di quote di società (“Mestra” e “Medioambiente”). Carlo Antonio Loretta fu condannato a 14 anni di carcere, mentre il fratello Giuseppe a 7 anni e 8 mesi. Adesso, per i fratelli Loretta, difesi dagli avvocati Luigi Pipitone e Walter Marino, le pene sono state ridotte a 11 anni, 10 mesi e 10 giorni per Carlo Antonio e a 7 anni per Giuseppe. "La riduzione di pena è stata disposta a fronte dell'accoglimento di una tesi difensiva secondo cui i fatti dovevano farsi risalire ad un periodo precedente la riforma normativa che ha aggravato le pene" commentano i legali.
Confermati, invece, i due anni inflitti dal gup ad Angelo Castelli per favoreggiamento a Cosa Nostra. Due anni anche per Grazia Maria Vassallo e Vita Anna Pellegrino, mogli di Giuseppe e Carlo Antonio Loretta, un anno e 8 mesi per Rachele Francaviglia, moglie di Epifanio Agate, un anno e mezzo al castelvetranese Filippo Siragusa, giornalista, ex portavoce di Mimmo Turano durante la presidenza alla Provincia di Trapani ed ex collaboratore del Giornale di Sicilia, un anno e 4 mesi a Nicolò Passalacqua, un anno e 2 mesi alla russa Nataliya Ostashko, dieci mesi e 20 giorni per Francesco Mangiaracina, marito di Nataliya Ostashko e cognato dell’ex capomafia mazarese, poi pentitosi, Vincenzo Sinacori. Per Passalacqua e Francaviglia pena sospesa. Furono, invece, assolti dal gup gli imputati Andrea Alessandrino e Paola Bonomo, dipendenti della “Mestra”, accusati di attribuzione fittizia di quote “Medio Ambiente”, che i Loretta, secondo l’accusa, avrebbero costituito per poter partecipare ai lavori di ristrutturazione dell’ospedale di Mazara dopo l’interdittiva antimafia emessa dalla prefettura per la Mestra. Alessandrino e Bonomo sono stati difesi, rispettivamente, dagli avvocati Walter Marino e Vito Perricone. “L’indagine Ermes 2 – hanno spiegato gli investigatori subito gli arresti - conferma il pieno inserimento dei fratelli Loretta e delle loro aziende (Mestra e Medio Ambiente) nella famiglia mafiosa di Mazara. Infatti, gli stessi, anche presso la sede della Mestra, organizzavano incontri e riunioni con i noti Gondola Vito, Cimarosa Lorenzo, Giappone Vincenzo, Giglio Sergio, Lombardo Ignazio e Marino Baldassare”.
Fondamentale per lo sviluppo dell’indagine è stato il summit mafioso documentato dalla Squadra Mobile di Trapani la mattina del 2 marzo 2010 nelle campagne tra Mazara e Castelvetrano. “Nell'occasione – dissero gli investigatori - si accertava la presenza del vecchio capo decina Marotta Antonino (poi deceduto il 3 aprile 2013 e ritenuto fino alla sua morte il reggente della cosca mafiosa castelvetranese) e del Gondola Vito, inteso “Coffa”, nei fatti il reggente della cosca mazarese (poi deceduto anche lui, ndr), incontro che certamente era stato concordato anche a seguito del diretto volere del boss mafioso latitante Messina Denaro Matteo. All'incontro aveva presenziato pure Loretta Carlo, che aveva accompagnato il Gondola e il cugino di Messina Denaro Matteo, Filardo Giovanni. Era chiaro che un così importante vertice dei maggiori rappresentanti delle cosche di Mazara e Castelvetrano altro non poteva trattare che la spartizione dei proventi derivanti dall'esecuzione di appalti”.