In un articolo di qualche settimana fa ci eravamo chiesti chi inquinasse il fiume Modione, che sfocia nel mare di Selinunte, proprio sotto il parco archeologico.
Un fiume che ogni anno, in occasione della raccolta delle olive, si tinge di nero.
Avevamo anche parlato delle preziose attività dell’Associazione Mareamico di Agrigento e dell’impegno del suo presidente Claudio Lombardo.
Giovedì scorso, il fiume Modione è stato protagonista alla Camera dei Deputati.
Del suo inquinamento, causato da sversamenti illeciti, ha parlato il procuratore del Tribunale di Marsala, Vincenzo Pantaleo, insieme al sostituto Maria Milia, nel corso dell’audizione in commissione parlamentare di inchiesta “sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati”.
Il procuratore Pantaleo ha riferito di indagini in corso di polizia giudiziaria per l’’individuazione degli autori del reato, confermando i dati sull’inquinamento, verificati sia dall’Arpa che dall’associazione Mareamico: “Elevata concentrazione di azoto ammoniacale, da scarichi fognari e un’apprezzabile presenza di oli e grassi provocati dallo sversamento di acque di vegetazione da parte dei frantoi della zona”.
Inoltre, dal controllo del depuratore della città, nelle relative griglie sono state trovate - afferma Pantaleo - “foglie e olive che indicano un’attività di sversamento diretto nell’impianto fognario da parte di opifici del territorio di reflui della lavorazione non depurati”.
Un fenomeno, aggiunge, “che ha profili di gravità notevoli”.
Ma come viene perseguito chi inquina?
Il procuratore riferisce che “Vi sono alcuni procedimenti che riguardano nell’arco di due anni, sempre la stessa persona che gestisce una cantina vitivinicola. La sanzione che viene applicata a questo signore, ogni volta che si rende responsabile di queste tipologie di reato che sostanzialmente sono sempre le stesse (si tratta di sversamento di acque reflue non autorizzato), non hanno alcuna efficacia deterrente. Perché questa persona ogni anno commette lo stesso reato”.
Bisognerebbe, secondo Pantaleo, avere la possibilità di far ricorso a sanzioni di un’efficacia deterrente maggiore, “oltre ad avere la possibilità (non noi, ma l’autorità amministrativa) di revocare le autorizzazioni”.
E per farlo occorrerebbe che la legge prevedesse delle sanzioni più pesanti.
La dottoressa Maria Milia, audita nella stessa videoconferenza, ha messo invece l’accento sulla tempistica.
Gli accertamenti, infatti, richiedono interventi tempestivi ed una certa “celerità nell’accertamento dei vari elementi costitutivi del reato, puniti spesso come illeciti contravvenzionali, con tempi di prescrizione assai ridotti”.
In sostanza ci sono organi non specializzati che devono richiedere l’intervento dell’Arpa, attendere l’esito degli accertamenti di laboratorio e poi attivare le procedure di intervento.
Questo “dilata enormemente il tempo di acquisizione probatoria relativa ad un illecito contravvenzionale – ha aggiunto la dottoressa Milia - Tant’è che abbiamo diversi procedimenti che si sono poi conclusi con richieste di archiviazione per intervenuta prescrizione”.
Egidio Morici